tuttologia in direzione contraria

Il disgelo giocò d’anticipo, in quella primavera del ’16 che si era già annunciata ai primi di soffionefebbraio. Seguita da un vento tempestoso e preceduta dallo spostamento dell’aria nelle vallate, l’Onda violentò le pianure come tùrbine e travolgendo ogni certezza. Tutte le verità custodite nei templi sacri e profani e conquistate in due decenni di dottrina furono distrutte al suo passaggio. Spazzate vie le chiese e le cattedrali, le sinagoghe e le moschee, le statue dei santi e i minareti; strappate le vesti di sacerdoti rabbini e imam; travolti monasteri e tutti i luoghi di preghiera, con i libri sacri preda del furore e della velocità dell’avanzata e sepolti dal vortice di terra che si depositava solo molte ore dopo il passaggio.

A ogni svolta dell’incedere si polverizzavano banche e uffici, come se l’Onda si accanisse contro il rigor mortis provocato da debiti e scartoffie. La stessa sorte toccò ad arsenali e caserme, con i cannoni che volavano nel vento per poi schiantarsi come meteoriti sui depositi d’armi e polvere nera e finendo inghiottiti dalla terra.

L’Onda raggiunse l’area di comando, il cuore da dove il potere regnava ormai indisturbato e legittimato da se stesso: palazzi torri e mura furono ridotti a briciole come con un pugno sul pane secco. Le leggi raccolte in immensi e infiniti faldoni volarono ad altezze siderali, così vicine al sole da sciogliersi e bruciare come le ali di Icaro.

L’Onda distrusse le aree industriali dove medicina e tecnologia creavano l’assolutismo della salute e del comportamento per il futuro geneticamente controllato di piante e persone e animali. Poi, svoltando con ancora più vigore, si lanciò contro i manufatti di cemento, monumenti che da tempo avevano elevato il genio umano a dominio sulla natura: otturò gallerie e seppellì ponti, zappò strade, divelse rotaie, sradicò metropolitane, annodò cavi e li lancio nell’etere. Ridusse in pulviscolo i centri del sapere omologato, frantumando università accademie e politecnici.

Accasciati obelischi e piramidi, disarcionati cavalieri su statue e fregi, strappati veli e tendaggi alle residenze signorili, svuotati musei dalla paccottiglia, l’Onda rallentava solo nel passare accanto alle favelas, ai ghetti, alle banlieu, alle scuole per l’infanzia, ai campi dei nomadi e degli zingari, ai centri di accoglienza per rifugiati, alle periferie più abbiette d’Oriente e Occidente, come ad accarezzare le genti che lì si chiedevano da secoli a cosa servisse vivere e cosa fosse ora quella furia che scompigliava i capelli con mano delicata.

Restava poca strada, ancora. La pianura digradava ormai verso il mare, che placido attendeva con la sua spiaggia pavesata a festa. L’Onda si arrestò fumante come locomotiva sul bordo della battigia dove una moltitudine di genti l’attendeva col vestito buono tirato fuori dopo ere di stracci. Nel nitore del pomeriggio, tra la folla inebriata per una felicità mai immaginata, Dubbio e Domanda si baciarono.

 

gene

gennaio 2016


Una replica a “L’Onda”

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