C’è qualcosa che trasforma l’esibizione in arte, qualcosa che è una compassione tra chi fa
e chi ascolta o guarda. O anche tra due che fanno. Prendiamo la musica che con varietà d’espressioni e gusti ravviva le vite di tutti, per istanti o per sempre. Possiamo ascoltare Springsteen o Mengoni, elettronica o swing, possiamo commuoverci di felicità e piacere, ma c’è ancora un confine sublime da attraversare, che è quello della compassione.
In rari momenti, ma ripetibili, la vita entra dentro, si avverte l’immortalità e si è scossi da quella cosa spaventosa e inarrestabile che si chiama amore. È il momento in cui senti la figlia cantare e suonare, e ti tremano le mani peggio che se fossi tu a cantare; e poi canti tu e lei ti guarda come se fosse la madre e tu il figlio, come diceva Enzo Jannacci.
Questa figlia che si chiama Georgette (come la bisnonna di Claro), con fragilità che ai tuoi occhi sono pregi assoluti, questa figlia è l’Arte. Non perché produca bellezza solo nella forma, ma più per la compassione che ti rovescia addosso e te ne nutri come fosse l’ultima e più sontuosa delle cene possibili.
Seduti su due sassi di un prato di montagna, tu e Georgette cantate e suonate senza bisogno di pubblico, perché siete voi il pubblico e l’artista di voi stessi. La musica trapassa le membra, vivifica l’essenza del sangue trasmesso e per il tempo che la musica è sorretta non ci sono né pene né malattie.
Sembrerebbe tutto privato, questo affare di cuore, e invece è collettivo, poiché questa compassione resta nel cuore come un utensile nel cassetto: quando servirà per aggiustare, la si prenderà e la si accenderà.
Basterebbe, e basterà, per cambiare il mondo e salvarlo.
Georgette è l’Arte.
gene
Postilla
Finalmente il mio amore è arrivato
I miei giorni di solitudine sono finiti
E la vita è come una canzone
Etta James
