tuttologia in direzione contraria

Dalla vittoria nel Mondiale del ’42, il cammino dei Mapuche è stato accidentato. Confinati mapuchealla fine del mondo, sono andati avanti a giocare nel vento, con regole tutte loro. Dalle porte a misura variabile, ai palloni con materiali alternativi, altro che tecnologia foraggiata dal lavoro minorile. Battuti i tedeschi nella memorabile finale dimenticata, hanno ripreso le loro cose e il loro calcio immaginifico. L’altroieri, nel cuore dell’Inghilterra, il falegname mapuche Leonardo Ulloa ha messo in piedi due invenzioni che hanno spinto la sua squadra, il Leicester, a tre punti dall’inopinato titolo di campione. In campo solo per l’assenza del cannoniere Jamie Vardy, Leonardo ha forzato la scatoletta dello Swansea con un colpo di testa a cinque metri dalla porta, battendo sul tempo tre o quattro giganti sassoni. Verso la fine, si è lanciato in scivolata sul pallone della gloria, e sembrava vestito di piume quando correva libero e ridente, mentre il suo papà Claudio Ranieri ricominciava a piangere. Mi sembra di sentire Osvaldo Soriano che ridacchia e lo immagino mentre fa gesti poco signorili nei confronti delle stelle. Ulloa e Soriano sono figli della stessa terra, della stessa storia, delle stesse dune, degli stessi margini scavalcati con la poesia, della stessa minoranza gigantesca. Vestono di piume e come piume sono leggeri nella loro eternità di gol inammissibili.

 

gene

 

Postilla

I Mondiali del 1942 non figurano in nessun libro di storia, ma si giocarono nella Patagonia argentina.

Osvaldo Soriano


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