All’improvviso, nel verdeggiare di un pomeriggio d’allenamento, s’avvicina una leggenda.
“Vuol giocare con noi? Ma sì”. Un cuoco volante, nel senso della bocciata al volo esibita con leggerezza da rondine; due dilettanti sotto-occupati e in cerca di una ragione; un campione del mondo con la dolcezza spietata del fuoriclasse. Una barzelletta, sembra.
Le squadre sono fatte subito, i dilettanti da una parte, il cuoco e il campione dall’altra. Si parte con alcuni accosti di livello dei due dilettanti, vanificati da rigoli incerti. Il cuoco disturba le operazioni con colpi di tosse e profferte ad alta voce, redarguito dal dilettante meno calmo e perfino dal campione suo compagno. La gara si mette sui binari della serietà di un gioco ben fatto.
Mentre i sodali dilettanti tentano di prendere il largo nel punteggio approfittando della farraginosa messa in moto del campione, il tempo volge al bellissimo e attorno al campo di bocce intagliato nel lume della primavera si assiepa un ragazzino ricciuto. La partita scorre tra manchevolezze e prodigi, i dilettanti resistono come possono al campione che da solo volteggia e colpisce.
Il campione, aperta parentesi, è davvero un campione, e del mondo; vestito di rosso, ammutolì l’imbattibile Italia in mondovisione. Chiusa parentesi.
Dopo un momento di illusione dei dilettanti che si portano senza particolari meriti sul 5 a 2, con un filotto di dieci punti a zero il campione e il cuoco sorpassano e intascano la prima. Si passa alla rivincita, con l’idea di farcela che conforta i dilettanti, uno dei quali giornalista decaduto e l’altro giornalista licenziato di fresco. A latere, prima del match i due hanno polverizzato il loro comune ed ex direttore, bollandolo come patta molle e incapace, con più di una ragione.
Ma la rivincita, dunque. Mentre il cuoco agisce da spalla, il campione lievita come una torta, lanciando flessuoso bocce inesorabili. Di riffa o di raffa, incamera tutto, mentre gli altri guardano e si inchinano. Il sopraggiunto ragazzino ricciuto sta lì a precisare le posizioni delle bocce colpite per sbaglio dal cuoco e dai due dilettanti, mentre sulle traiettorie del campione non fiata e non corregge, anche perché non serve visto che le bocce vanno precise come folgori sui giuramenti.
A un certo punto, il campione dice che una volta bocce così le prendeva, indicando un bersaglio complicatissimo. Poi tira e pac!, una di qua, una di là, e uno dei dilettanti non può che dargli la mano, quasi commosso, anche se quel memorabile capolavoro sancisce un lapidario 12 a 4.
Il campione spiega che, oltre a vincere un Mondiale (e lo dice come se avesse fatto la spesa al Cattori), ha praticato tanta ginnastica. I dilettanti e il cuoco ne ammirano l’agilità da ventenne nel piroettare quei tre passi di danza prima del lancio, mentre il ragazzino ricciuto vorrebbe veder giocare fino al fondo della notte.
Il campione, ammantato di grazia e signorilità, ripone le sue bocce biancazzurre nella sacca, si spolvera le scarpette e offre da bere, come se non avesse stravinto. Si chiama Poletti. Campione del mondo. Novantuno anni.
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Postilla
Quando apro il giornale, leggo sempre le pagine dedicate allo sport. Vi si parla infatti delle imprese compiute da uomini e donne, e delle loro vittorie. Mentre la prima pagina parla, in genere, dei loro fallimenti.
Earl Warren
