La questione del casco l’aveva esasperato ogni dire. Il limite di sopportazione fu superato
quando la parrucchiera gli disse che s’era rovinato i capelli.
– Vede, qui davanti, come sono fini e strapazzati? Dovrebbe smetterla di usare copricapi.
Uffa!
Oltre che rischiare la pelle nell’abbordare rondò, a causa di automobilisti dediti a tutto tranne che alla cautela, ci si metteva anche quello spiaccicamento dei capelli. Si ricordava della giovinezza con la zazzera sciolta a briglia, su e giù a morosare alla Brando. Ora invece, si trascinava quel cranio di capelli brizzolati e unti. Basta. Basta col casco e anche con il giaccone che non riparava d’inverno e che cuoceva d’estate. E basta anche con la moto, che aveva cominciato ad amare solo da ferma. Venduta. Quello che la prese non volle il casco, pazienza.
Che bello però, basta spiegazioni a poliziotti noiosi come le mosche, basta sacramenti al tempo, basta capelli fini sul davanti e sfibrati come lui. A piedi!
Che fare del casco? Farlo rotolare dalla cima del Pizzo di Claro?
Intanto che ci pensava, si riassettò i capelli con sciampi cari come il fuoco e finalmente, dopo settimane d’aria e acqua, diedero l’idea di tornare al fulgore dei trent’anni, con in più il tocco di grigio che li faceva belli e ondulati come quelli del Petropoulus, un greco fuggito dalla guerra, con le tasche sempre piene di caramelle e dalla testa come un cavolfiore.
Un giorno arrivò a trovarlo il Meo, che si infilò il casco, tirò giù la visiera e dal divano si guardò tutto Scacciapensieri come se sfrecciasse sulla Route 66.
– Lo vuoi portare a casa tua?
– No!
– No?
– Sì!
Fine del circo.
gene
Postilla
Non serve a niente essere intelligenti. Sarebbe meglio essere biondi e belli.
Agota Kristof
