Nella limpidezza che ondeggiava tra il fieno quasi maturo, il mio paese era apparso adagiato nel sole di maggio, dopo la curva leggera, oltre i resti dell’industria dei Sessanta. Se mi avessero dato una randellata in testa e poi trascinato bendato in mezzo a quella distesa di prati, al risveglio avrei sentito l’odore della mia terra senza neanche bisogno di respirare. Ma i miei occhi erano spalancati e la bellezza riposta nell’immaginazione dell’esilio era balzata fuori indomabile. Girai nella strada di campagna, cento metri prima dell’abitato, e sorvolai il cavalcavia dell’autostrada, in una corsa lanciata come con la Vespa, quando con mia figlia ancora piccola e aggrappata alle mie ginocchia si giocava a sorvolare il vento. Rasentando la campagna a fianco della golena del Ticino guardavo l’immensa montagna sopra il paese, con lo sfregio del Valegion che l’ammantava di insopportabile sensualità.
L’auto, credo per conto suo, aveva infine imboccato una delle strade che da est portano dentro l’abitato e che una volta, al posto del banale asfalto, erano di ghiaia. Dai finestrini abbassati entrava tutto quanto avevo lasciato più di dieci anni avanti. Colori, muri, profumi, parole sospese. Nel passare accanto al cimitero, feci finta di nulla, come se là dentro non ci fossero le radici in cenere.
Al campo di calcio smontammo e abbracciai mia figlia, impegnata con una distesa di altri ragazzi in uno di quei tornei con i giocatori avvolti nei palloni trasparenti, che sembra di vedere uno sbarco alieno e forse lo è. Solo che l’alieno ero io
Credo di aver trascurato la Maddalena e il Meo. Cioè, ero lì con loro, ma rintanato dentro il mio cuore, che non è una cosa districabile. Arrivò anche il Gas con Anna, riapparsa da chissà quale oblìo, e ci incamminammo a piedi nel vecchio quartiere del paese, quello dove ogni pietra parla a me ancora oggi. Un mondo a parte, dice il Gas. Lui viene dalla città ma ha un’anima contadina come la mia. Anche la Maddalena ce l’ha, il Meo invece è più edile e si diletta a contundere piante con il martello di gomma dell’Agricola. Anna non so.
Quando siamo tornati al campo, la Gigi – mia figlia la chiamo così, sarò libero di farlo no? – era fradicia d’acqua, per ostacolare il sole battente, e l’amavo più di sempre, ma non l’ho detto.
Il Meo cominciò dar segno di stanchezza nervosa, alla Maddalena dava fastidio la musica elettronica. E così, a minuti saremmo partiti. Mi stampai un’ultima immagine di quella piccola Woodstock con musica meno divertente e meno fango.
Svoltando nella strada che ha tagliato quella che fu un resto di morena alluvionale acconciata di ginestre in fiore, guardai ancora una volta la campagna che come un mare verde lambisce le case addossate in maniera andalusa. Ogni esilio è una forma di rispetto muto al proprio coraggio. Quindi, andare.
Alzai il volume della radio, nei profumi del maggio di casa mia e nel vibrare della mia malinconia.
gene
Postilla
Quei giorni di maggio quando tutto è suggerito, e niente ancora soddisfatto.
Francis King

