
Mi saliva un fremito di piacere inaccettabile. Le sue labbra sul mio capezzolo a cercare il latte sembravano avere un che di demoniaco. Lo lasciavo fare, ma mentre lui si ingollava, a me si rovesciava il capo, si chiudevano gli occhi e si apriva la bocca. Fuori, una distese di neve dove non transitava nessuno. Quando il piccolo si staccava soddisfatto e già dormiente, dovevo andare avanti da sola fino a sbriciolare il desiderio. Lo guardavo dormire e lo maledicevo, quel frutto di una colpa inenarrabile. Ho cercato in tutti i modi di considerarlo innocente, ragioni che quando si attaccava al mio seno svanivano in una nuvola di odio e di resa. Credo di aver visto qualcosa di simile in un quadro di Segantini, dove un orrido Cupìdo straccia le resistenze di una sirena arenata su un albero. Quella visione, riportata alla mente, mi dava ancora languore, mentre la mia prigionia morale mi concedeva un solo istante di spasimante agonia nel vortice dell’inferno. Non so se Segantini la intendesse così. Lo uccisi. Nella prigione vera dove mi hanno rinchiuso posso consolarmi quando voglio, sola e incontaminata. Penso ancora a lui, a volte, mentre mi sfioro.
gene
Postilla
Il sacrificio è la sola, vera perversione umana.
Elsa Morante
