Questa luce di giugno mi acceca. Non solo il giorno a offendere le mie pupille, anche le
scarpe di vernice, i microfoni, gli ottoni della banda, gli occhiali a specchio, gli ori e gli argenti, diademi e collier, specchi e perline. Quelli che non hanno smosso una pietra, e si pavoneggiano per il cantiere del secolo, mi hanno messo sulla soglia della baracca come un portiere d’albergo con casco, mentre loro azzannano il catering tra un’orazione e l’altra.
Penso ai miei fratelli di Frontale che centimetro dopo centimetro hanno smosso la roccia senza farla crollare; penso ai fratelli neri dalle cento lingue che all’alba sono entrati nella miniera uscendone la sera, a inciampare nelle stelle, come dice Francesco.
È la prima volta che sto qua di giorno e, così lindo, non sembra neanche lo stesso posto che ho scambiato con la mia casa in groppa alla Valtellina. Al posto dei rimbombi che hanno scosso le nostre viscere e quelle della montagna, odo le allocuzioni dei capi di Stato che, come reverendi del progresso, ricevono inchini, ringraziamenti e battimani.
Cari ministri, noi mangiamo il panino con la bologna come sempre, che è poi buono. Voi avete promosso, delegato, convinto e pagato (coi soldi del popolo), ma a scavare siamo stati noi e se qualcuno ci ha lasciato la pelle, bene, è uno dei nostri. Passerete col vostro treno, abbagliante pure quello, sulle note della banda e nello sbattere di bandiere, mentre noi andremo per il mondo a offrirci a un altro buco nella terra, cantando la speranza di poter mangiare la bologna senza soffocare nella polvere.
gene
Postilla
E meno male che c’è sempre uno che canta e la tristezza ce la fa passare
sennò la nostra vita sarebbe come una barchetta in mezzo al mare
Francesco de Gregori

Una replica a “Minatori”
Toccante e da condividere.
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