tuttologia in direzione contraria

Amragordi

Non era stata bene, la nonna, forse una bronchite a minarle la già sghemba camminata.mezzogiorno_sulle_alpi Appena ripresasi, dall’ombra del frassino annunciò a mia madre che sarebbe andata al ricovero, che di pesare sugli altri non aveva intenzione. E col tono che usava verso il nonno quando gli ordinava di levare il fiasco dal tavolo, senza replica. Due giorni più tardi era già al Paganini e Re di Bellinzona e la vita nella casa di Claro con cortile fiorito era conclusa anche per me. Nel medesimo istante era finita anche l’infanzia, che a pensarci adesso era durata più del normale, ma me ne sono reso conto solo ieri, per dire del ritardo sentimentale che mi ha sempre ostacolato.

Mentre la nonna viaggiava verso la fine con una certa resistenza orgogliosa in quel ricovero, conquistai la patente di guida e lei decretò che per le gite domenicali, unica deroga alla quiete malata della settimana da degente, il solo pilota ammesso fossi io. Basta con i motori di zie, zii, cugini, nipoti, figli. “Solo il Giorgio”. Vietate le obiezioni, come col fiasco del nonno. E se non potevo, magari per il calcio, si barricava nella stanza senza remissione fino alla domenica seguente.

La sola clausola che poneva all’amore totale che mi regalava – il Giorgio è il mio preferito, declamava alle cene tra parenti, incurante delle facce tirate nel dispetto – era la solenne promessa che al suo funerale non mi sarei presentato con i blò, come chiamava lei i jeans.

Un giorno morì, concludendo una vita travagliata che racconterò un altro giorno. Portai la croce davanti al carro funebre, da ateo precoce, con un paio di pantaloni neri di gabardine che il giorno dopo bruciai.

Da ventotto anni non varco il cancello del cimitero di San Nezéi, dove sta domeniche incluse. Non posso dimenticarla. Si chiamava Georgette. Mia figlia si chiama Giorgia. Un po’ terroni e ce ne vantiamo.

 

gene

 

Postilla

L’éve pou bél a Sot Matro


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