Il Rinaldo scende fino al piano con una bisàca gigantesca sulle spalle, che pare una
Tschäggättä vallesana. Saranno sì e no cento metri, ma Bolt se li sogna. Ne porta una decina di queste immense nuvole di fieno, avanti e indietro. Gliele preparo ammucchiando sulla tela col forcone il prezioso foraggio e lui, dopo averle legate, se le issa sulla coppa e parte in un miscuglio di barba e fili d’erba secca, circonfuso di tafani e biamm.
Una figura epica, non ci sono discussioni: nella tristezza di un 2016 pieno di coglioni che muoiono, ammazzano, corrompono, pregano, rubano, violentano, tassano, reprimono, cianciano, mentono e ridono per nullità, il Rinaldo che vince l’ingombro del suo carico scendendo il sentiero è rivoluzionario. Mi commuovo nel guardarlo, mentre anch’io schiaccio tafani e gocciolo sudore limpido. Non vivevo una fienagione dal ’77, calcolo, ma questa è riscatto.
Peccato che il Rinaldo sia astemio e la sera vada ad acqua come una locomotiva, ma per il resto è nella topten di tutti i tempi. Trova il tempo per incazzarsi su Repubblica, giornale a lui ignoto. Poi, a cena mangiata, s’incammina nel crepuscolo bavonese a recuperare cavalli fuggiti, come un intramontabile eroe della frontiera.
gene
Postilla
Il vento, venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui s’accorgono solo poche anime sensibili, come i raffreddati del fieno, che starnutano per pollini di fiori d’altre terre.
Italo Calvino
