Mai cominciare un pezzo parlando del tempo, Gene!
Intanto che gli svitavo il tappo, che lui non ce la faceva, il Bobo sbirciava sul mio testo e ammoniva. A volte erano altre macellate. Servivano. Una volta mi disse di tornare al mio vecchio mestiere di falegname, che nel giornalismo nessuna sicurezza. Forse era per spronarmi, o per dirmi tra le righe che le mie cronache facevano cagare. Ma aveva ragione, nessuna sicurezza e infatti un giorno mi diedero un calcio in culo.
E quindi, alla faccia di tutti, dico che oggi 29 luglio si crepa dal caldo, azzerata la voglia di farne, aumentata la sete e di conseguenza la noia.
Io non lo so, ma a me questa storia delle stagioni rompe. Quando ci si comincia ad abituare al freddo, arriva febbraio e si suda; quando il caldo si fa piacevole abitudine, pioverà e poi nevicherà. Basta! Nessuna sicurezza nemmeno da Binaghi, che anzi gode a paventare scenari indesiderati e a provocarli con gusto sadico.
– E cosa ci aspetta domani?
– Purtroppo domani ci attende… – e via un elenco di imprevisti, elencati con voce melliflua. Brutto jettatore. Tutti i giorni così, mattina mezzogiorno e sera, video e radio, adesso anche online e sui marchingegni portatili.
Il tempo, cazzo. Una volta che tutti lavoravano all’addiaccio, toccava scrutare rondini e cappelli, salamandre e grani di sale; oggi che tutti se ne stanno rintanati, chiediamo alla sibillaphone di dirci se tra cinque minuti pioverà o tirerà ventaccio. Ma chi se ne frega, guarda fuori dalla cazzo di finestra no? Tanto, per quel che devi fare, tra scrivania e briefing…
Quindi. Oggi a Locarno fa un caldo così e girano mandrie ruminanti e sudate, caro Bobo. Il Binaghi dice di temporali in serata. Ovvio, devo giocare alle bocce all’aperto, che per portare acqua è una garanzia, come il fieno appena tagliato.
Tutto il giorno a lamentarsi, e pel primo d’agosto neanche il falò. Che palle. Chissà su Marte che tempo che fa? Dimmelo Piernando, dai.
gene
Postilla
Sulla tv satellitare c’è un canale meteo – 24 ore su 24. Avevamo qualcosa di simile quando ero bambino. Si chiamava finestra.
Dan Spencer
