tuttologia in direzione contraria

Il furore delle capraie

Titolo del romanzo: Chiara cantante e altre capraie. Attenzione all’opera: il talento di Dorischiara Femminis è rivelato. Se Martini aveva sviluppato in modo drammatico la montagna di Zoppi togliendole i gerani, Femminis ha rilanciato l’epica che il grande Plinio faticava a concepire per una terra così aspra come la Valle Bavona. Il fondo del sacco è un lungo lamento, più dolente che premonitore, mentre la storia di Chiara cantante e altre capraie è un passato contadino che si dispera senza affondare, sogna, lotta, immagina, ama davvero.

Un romanzo corale straordinario, di donne coraggiose e testarde, solidali, che sembrano, anzi, sono, le depositarie della specie e della cultura. Le figure maschili, seppur rispettate, e alcune di loro irrinunciabili, sono travolte dalla forza femminile e finiscono in seconda fila dopo la presentazione.

Montagne, campagne, cammini, ribellioni, morti, nascite. Quante nascite descrive Doris? Ogni volta è tremore per le sorti di puerpera e nascituro, siano essi umani o animali. A ramengo per le Terre di Bavona, è tutto un partorire, spesso alla ventura, con famiglie di dieci figli e oltre, e armenti preziosi come l’aria. È scontato che tale moltitudine di umani è destinata a contare i morti, per inedia, per debolezza, per fame. O per cadute dai dirupi, come capita anche al più capace dei giovani pastori. Ma ogni nascita è un grido alla vita, una resistenza, da abbarbicarsi alle rupi per ribaltarle.

Doris Femminis stana la solitudine paesana come fa Marquéz, pavesandola di coraggio e sudore tanto quanto il grande colombiano la vestiva di follia magica. Chiara e le altre capraie sono troppo terrene per darsi al soprannaturale, a meno che non sia la fede, in specie nella Madonna, vera figura di riferimento per le genti di Bavona. Ma lo fanno per darsi coraggio, ben sapendo che dagli affanni si devono trarre da sole. Una preghiera e poi via, a lottare con gli elementi o con l’amore, o contro maldicenze e invidie.

In questo senso mistico e un po’ bigotto, il prete è visto come un Grande Fratello che in confessione denuda le anime, sa tutto e tutto censura (anche se poi è il solo ad accompagnare la ragazza-madre fino in Formazza). Le donne si ribellano anche lì, nella sacralità moralizzante; Marta (forse la figura più riuscita di tutto il romanzo, tanto che l’abbracceresti a ogni pagina) mente al prete, a ripetizione, per proteggere sé stessa ma anche per rifiuto dell’antica pressione clericale sulla morale personale, sul senso di colpa e sulle disgrazie del sesso.

La vera bellezza di questo travolgente romanzo è certamente la scrittura, anti-accademica e rutilante. Ogni pagina è un affresco, dove i dettagli risplendono armoniosi o scorticano l’anima con crudezza; senza mai scadere nella commiserazione (che Martini invece elevava), Femminis disvela parole che sembrano messe in fila per la prima volta, accostate in modo drammatico o divertente, racchiuse in periodi brevi e folgoranti alla Steinbeck del celeberrimo Furore. Voltare pagina è come voltare l’angolo, non sai se sarai travolto, o giungerà vento, o vedrai il mare, o apparirà un gregge o la morte in persona. Ma sei sempre trasportato avanti nella storia da uno scrivere meraviglioso, rude e delicato.

Non so quanto Doris si sia affannata nella ricerca e nelle testimonianze, ma traspaiono nelle pieghe della storia argomenti come la guerra e il contrabbando, non facili da affrontare senza una certa riservatezza, col rischio che diventino preponderanti e di fare di un romanzo un trattato storico, sbagliando tutto. E invece in Chiara sono spunti per il mondo maschile che in quei campi cronacistici ha la meglio, per vigore mal controllato e infantilismo prepotente. C’è di che riflettere, no?

Infine, è chiaro che Doris ha reso omaggio alla sua storia, alla sua terra, alla sua gente, alla sua stirpe familiare (io so chi è Chiara, lo sanno tutti in quella terra, la vidi una volta sola nella luce contraria della sera, prima ancora di sapere cosa fosse la Bavona, sopra un masso a tagliare erba, figura gigantesca ed emozionante). Ma immagino che abbia voluto soprattutto rivangare nel passato per affermare diritti e dignità femminili, per dire che nei momenti duri è la donna a guidare l’esistenza di una comunità. Questa, al momento, è la vera Utopia che il romanzo persegue chiamando a testimoni i fatti passati, senza sconti, senza resa, con immenso coraggio e voglia di vivere, per contrapporlo a questo presente anemico.

Appassionante, epico, tragico, assurdo, accorato, immaginifico, profumato, puzzolente, ribelle, umile, regale, potente, delicato e altri mille aggettivi. Vita e morte. Uno dei più bei romanzi ticinesi di sempre.

 

gene

 

Postilla

dosris femminis

Chiara cantante e altre capraie – Doris Femminis /2016) -Pentàgora


Lascia un commento