Non è spiegabile. Il giorno vagava così, un po’ inane, nell’avvolgente niente del signor
agosto. Me ne stavo in collina a faa el balabiot, tra un rosato e uno sguardo, aspettando che scoccasse mezzogiorno e dare dunque il via alla liquefazione dell’aglio nell’olio piccante scaldato il minimo. Una roba lunga, per passare il tempo e mangiare bene in povertà, in attesa del bus delle tre meno venti. Che non ho preso perché una dolce signora artista mi ha caricato sulla sua auto dopo richiesta a mezzo pollice.
La sto facendo lunga, lo so, ma c’è un perché.
Quindi, scendo e saluto e vado al bar. Il Frank è a Lugano fino a sera e la ricreazione con gli Old Boys dista quattro ore. Mi sto annoiando, ma in fondo a quel che resta del cervello in ferie mi punge qualcosa che ancora non riconosco. Poi mi viene in mente dell’Olimpiade, che al momento non mi ha suscitato il minimo interesse e devo essere malatino, visto che dal 1970 non mi perdo nulla dello sport.
Pizzo il piccì, frugando stancamente nello streaming. Ecco cosa pizzicava il sesto senso: la cronometro. Gara normalmente noiosa, con i ciclisti soli e bardati, indaffarati a rallentare il Tempo. Ma in questa c’è Fabian Cancellara al passo d’addio dopo mille anni di vittorie, cadute, ospedali e rombi di tuono. Un passionale, il bernese, di quelli che i calcoli li mandano a quel paese e seguono poderosi il maledetto istinto. Nella cronometro meno, è senza avversari spalla a spalla, da bruciare in allungo incosciente, e quindi apre il gas e basta.
Passano carneadi belgi, australiani, francesi, italiani, polacchi, cechi; uno stillicidio di rettilinei brasiliani che forse non hanno mai permesso il transito di bici, causa richio di morte per travolgimento. Salite di pochi metri, ma spaccagambe. Il Cancellara parte tra gli ultimi, appena prima dei favoriti Tom Dumoulin e Chris Froome. Ma poi parte eh, da quella discesetta, come uno sciatore sulla Streif.
Scorrono i secondi, i minuti, i tempi intermedi, saltellano inquadrature su questo e quello e chi cazzo se frega, fatemi vedere la locomotiva bernese che sembra il mio amico Pacio ai tempi del FC Preonzo, quando rompeva le balle a tutti divertendoci un mondo. Il Pacio Cancellara è serio, serissimo; inghiotte vento e tempo e lo scarica sulle pedivelle. Primo dopo un po’, poi indietro, ahia.
Intanto, lottando con la connessione, bevo una birretta. E sono passate le quattro, con passo lentissimo.
A un disgraziato australiano, che non stava andando male, si spacca il mezzo e lo cambia come un ladro di biciclette. Ma il Cancellara è già avanti e cresce a dismisura la sua fame di Tempo. Dietro, il Dumoulin e il Froome si arrabattano, stranamente ingolfati, forse perché gli hanno bisbigliato nelle orecchie che la locomotiva di Berna sta incendiando i binari.
A metà gara mi alzo dalla sedia e vado dentro, davanti alla tivù. Ci sono momenti in cui bisogna seguire in piedi l’evolversi dell’esistenza, come ai funerali. Si sente l’Epica e il Tempo rallenta ancora, battendo come un tamburo voodoo.
Il Gianca Dionisio non sta nella pelle, tra entusiasmo e scaramanzia, vagante nei collegamenti latinoamericani.
– Non vorremmo anticipare… sta facendo una cosa mostruosa… non potrebbe finire adesso la gara?… e invece… mancano ancora molti chilometri… vai Fabian… attenzione… sensazione… certezza solo alla fine… lo sentivamo… aspettiamo…
E la fine arriva, appena dopo l’apparizione della Maddalena che dimentico quasi di baciare. Il Cancellara travolge il traguardo, il suo Tempo si ferma, prima di quello sfuggente degli altri. Mancano il Tom e il Chris, okay. Ma pedalano sconfitti, formalità da consolidare. Quando il vincitore del Tour attraversa il suo Tempo e dietro di lui non arriverà mai più nessuno, la locomotiva sbuffa sul binario morto, al secolo una sedia di plastica come quelle del Bagno Pierino; nasconde la faccia e piange, roba che il Pacio mai e poi mai, neanche per un gol al Lodrino. Il Gianca è ormai in orbita e probabile che sia lì ancora oggi.
In piedi, alzo il pugno in mezzo al bar, come se avessi vinto io e il Cicio annunciasse:
sciampiò olempich e olimpich cèmpion!
Quando si dice il sesto senso d’agosto.
gene
Postilla
E che ci giunga un giorno
ancora la notizia
di una locomotiva
come una cosa viva
lanciata a bomba
contro l’ingiustizia
Francesco Guccini
