tuttologia in direzione contraria

Dell’amore versione 1

Per amore aveva inghiottito nella testa del motorino una strada sterrata di montagna che margheritarifiutavano anche i muli. Per amore tutto suo, che dall’altra parte cenni decisivi non ne aveva ricevuto mai in quei sei mesi di inappetenza e sonni disturbati. Un mazzo di margherite nella mano destra, quella del gas, che poverine perdevano petali a ogni scossone e in cima quella trincea di ghiaia e sterpi erano solo steli cascanti con qualche traccia sporadica del m’ama non m’ama. Lassù, di fianco alla chiesa, la casa del suo amore. Appoggiò l’esausto mezzo a un muretto sghembo e con la miseria in mano s’avviò. Gli tremavano gli arti, per anchilosi da viandante.

– Non c’è – disse la mamma del suo amore, forse interrogandosi su chi fosse quel giovane arnese o forse no.

Per tutta la strada si era detto che se lei ci fosse stata, allora lo amava. Ma considerò il fatto che non ci fosse come un errore di valutazione e scartò la sconfitta proponendosi un’altra sfida: saltare in sella al motorino prima che suonassero le campane. Mentre trascinava di corsa gli scarponi, risuonò il rintocco. S’afflosciò sul muretto, rischiando di ribaltarsi di sotto. Ma si riprese quando s’avvide che il rintocco maledetto era solo il campanaccio di una vacca indifferente appostata alla fontana. Volò sulla sella appena prima che il campanile suonasse le due.

Bene, lo amava. Ma dov’era ora il suo amore? Neanche l’aveva chiesto alla madre, crollato come fu sotto il flagello delle sue ardite illusioni.

Scese di sella, rilassato e pronto all’indagine. Si misurò in una breve camminata, svoltando dietro la chiesa dopo aver dato una pacca alla vacca, sempre intenta a bere.

Poi il suo amore apparve, bella come nessuno, gli adorati capelli scuri nella brezza, la pelle accarezzata da quel sole, benedetto finalmente. Quando lei appariva, lui non vedeva più niente altro per mezzo minuto, sempre così, anche a scuola.

Passati i trenta secondi di cecità, di fianco al suo amore apparve un mostro che la teneva stretta con un braccio attorno al morbido fianco, e lei, la bella, accondiscendeva la bestia facendo altrettanto.

– Oh, ma che sorpresa! Che ci fai qua?

– Pasavo.

– Ti fermi con noi?

– Spiace… evo tronare zù.

Ogni parola gli usciva con la grazia di un ciottolo che rovina.

– Allora ciao.

– … au…

Riprese la discesa con qualcosa appollaiato dentro al petto, come una cibaria incastrata ai piedi della digestione, ma peggio. Ci pensa ancora, ogni tanto, quando vede una margherita.

 

gene

 

Postilla

Il poeta è un fingitore. Finge così completamente che arriva a fingere che è dolore il dolore che davvero sente.

Fernando Pessoa


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