– Andato via così, come una fuga, forse da me. Forse non gli piaccio proprio. O forse è troppo tonto. Sono sei mesi che lo guardo e gli passo accanto, in mezzo agli altri compagni. Gli ho parlato poco, ma non volevo essere sfacciata o che pensasse male di me, che fossi la solita oca. Mi piace tanto, ma lui niente di niente, reporter e motorino, sempre in corsa appena fuori dalla scuola. Oggi ci sono davvero rimasta male, più delle altre volte. Che ci è venuto a fare qua, su questa montagna? A prendersi di gioco di me? A fare un giro, come dice lui, e non ci credo neanche per un po’… – disse lei, con femminile disincanto.
– Non ti sei sprecata a trattenerlo… – punse il giovane, accasciato per fatica sul solito muretto sghembo.
– Hai visto il muso che teneva? Come se fossi l’ultima persona che volesse vedere.
– Forse ero io che non voleva vedere…
– Ma che c’entra! Nemmeno ti conosce. È lui che è un bruto.
– Già…
Stizzita, lei aiutò il giovane zoppo ad alzarsi, gli prese la mano, la spostò sul suo fianco e
con la sua cinse quello di lui, per aiutarlo senza molta tenerezza a camminare fino alla fontana, dove la vacca aveva lasciato libero il posto, incurante di tutto.
Con profonda tristezza, dopo averlo aiutato a sedersi sul bordo della fontana, lei stette in piedi in silenzio, con la brezza nei capelli scuri, guardando a valle, verso qualcosa e niente.
– Se fosse venuto per me, avrebbe portato fiori…
– Ora che farai?
– Lo cercherò o lo dimenticherò.
Prese di nuovo il fratello sottobraccio, accolse la mestizia e s’avviarono a casa.
Quando scese dalla montagna e alla fine di settembre tornò a scuola con il cuore in mano, decisa a interrogare, lui non c’era più. Seppe che aveva cominciato a lavorare via dalla città. Pianse, per amore mancato o orgoglio ferito.
Conobbe altri amori, reali e sofferti. Non lo cercò mai. A quel tempo andato e perduto ci pensa ancora, ogni tanto, quando vede una fontana.
gene
Postilla
L’amore s’annida senza eredi all’altezza.
g.
