Ormai siamo alla deriva dell’intimità messa in piazza, alla quale pure io mi adeguo con
questi scritti. Ai quali è giusto opporre un sano “Chi se ne frega”. Ma come diceva il Silio a proposito del vino, “A mi am và”. Inutile quindi cercare giudizi sullo scrittore che si spreca nella banalità di un racconto al giorno, tanto i consigli non richiesti non si accettano e lo diceva anche il Mapèta al meglio dei suoi anni. Mapèta al quale nessuno aveva chiesto di regalarmi una chitarra, quando avevo quattordici anni, oggetto che mi ha distolto per non poco tempo dalle miserie dell’anima e da obblighi ridicoli. Ho imparato da solo e ancora oggi tengo fede al mio proclama: Voglio imparare tutte le canzoni. Non ce l’ho ancora fatta, ma tengo discretamente botta a ogni riunione di soci, colmando col canto il gocciolìo penoso della tecnica.
Da piccolo mi chiamavano Baracheta, a causa del cantare per strada le canzoni del Vittorio, e altre. Con la chitarra, il Mapèta mi ha aperto un mondo e non ho intenzione di richiuderlo. Anzi, vado ancora e sempre in esplorazione. Una gioia, e scusate il termine così sovversivo in questo tempo scuro e afflitto.
Fatto un po’ di tutto, con la chitarra. Tolto corde perché le dodici erano da fighetto (in realtà non riuscivo ad accordarla), portata a spalla sui monti, usata come elemento di seduzione e così via. Quella del Mapèta dev’essere ancora da qualche parte che non so. Oggi ho una Washborn, cioè, è dall’81 che ce l’ho. Suona sempre meglio lei e sono migliorato pure io, ma magari è solo l’entusiasmo del Meo che travisa la mia percezione della realtà.
E mentre voi, giustamente, siete all’ennesimo “Chi se ne frega”, vado avanti ancora un po’ a spiegare cosa sia la mia gioia. Alla festa del mio paese, per la prima volta abbiamo suonato in pubblico mia figlia e io, anche lei con la stessa febbre da chitarra e canto. Come se avessimo di fronte tutto il mondo, ci siamo fusi nella concentrazione, aiutandoci nelle incertezze e buttando fuori l’anima. Già, perché senza il cuore, la nostra musica zoppa farebbe pochi passi sghembi. Padre e figlia, parlando di rivoluzione, di risposte nel vento, di cattive lune nascenti, del dolce bambino mio, di pescatori e locomotive, bionde trecce e fiori donati, leggeri nel vestito migliore, nelle strade di campagna o giù all’angolo, tra ninne nanne e galline fredde*, abbiamo scorto in alcuni occhi la nostra stessa gioia. Mia figlia è stata esemplare e con la sua voce calda e profonda mi ha permesso di fare il Richie Havens da carèe, in totale libertà. Nel cuore di quella notte, sono stato visitato da tutti, dal Mapèta in giù, e mi pare che mi dicessero “Bravo!”. Complimento che giro a Giorgia, senza di lei nella mia vita non saprei proprio.
Mi direte: Gene, non hai di meglio da fare?
No.
gene
Postilla
*Father and son -Talking about a revolution – Blowin in the wind – Bad moon rising – Sweet child of mine – Il pescatore – La locomotiva – La canzone del sole – La Verzaschina – Leggero – Country roads – Down on the corner – Ninna nanna del contrabbandiere – Pulenta e galina fregia
