Forgiato su solide basi, il Pratico condusse un’infanzia a picco sui lavori dei padri per poi mettersi in proprio e scardinare territori con pietre e legna. Nel fulgore della maturità, realizzò denaro con la forza inarrestabile delle sue mani e con il calcolato funzionamento del raziocinio. In poche parole: costruì, demolì, ricostruì e riempì di denaro la sua vita operosissima. Non si chiese mai perché, ma solo quando e come. Il Pratico divorava la sua vita a colpi di martello e calcolatrice. Maturò una splendida rendita con i risparmi, che in aggiunta ai contributi, gli prospettò una pensione dorata. Smetterò di lavorare e mi godrò la vita, annunciava. E quando arrivò il momento del riposo, fece il giro del mondo
assiepato su pontili di navi immense, abbuffandosi di cibarie per terra e per mare. La moglie gli leggeva i menù e lui ordinava e pagava. Parlava nelle sua lingua a tutti i popoli stupefatti da quei suoni. Non era importante capirsi, per quello bastava levare il portafoglio come si leva una Colt, ottenendo tutto senza nemmeno contare fino a tre. Poi le gambe gli divennero di legno e dopo una prima fase di resistenza in carrozzina si trovò inchiodato alla poltrona della veranda di casa. Per un po’ si godette il sole e il whiskey, la televisione e la compagnia cheta della moglie. Che, ovviamente, morì. Rimasto solo, accudito da una badante remunerata come una nababba, il Pratico fece un passo nel vuoto e comprò un libro, uno grosso e costoso come da suo imperioso desiderio. Non ricordo se fosse una versione illustrata di Guerra e Pace, ma quando si accorse che oltre alle strambe stampe d’arte c’erano da affrontare anche le parole, si arrese e morì.
gene
Postilla
Le uniche cose indispensabili sono le cose inutili.
Francis Picabia
