Ma tu farfalla, che non sai dei tremori che si frangono
su scogliere innominate: non conosci il battere di ali
che là sospinge il danno. Tu farfalla, neanche intendi
che senza Uomo a nominarti non sapresti del tuo esserci.
Vale per te rinoceronte, a caricare senza gloria
se privo del tuo varo. Altero cavallo, che senza Uomo
resteresti brado e innocente, con nessun altro sentimento
se non passeggero istinto. Voi alberi di fusto snello
che stretti a plotone vi fate foresta e culla
e siete figli della sorte. Margherita che disveli amore
petalo sì, petalo no, e ti riproduci da te
ma non sai sfogliarti. E serpe? Strisci senza umore
con la lucentezza orba degli steli avvolti di rugiada,
o delle stelle che fanno guida solo perché elencate.
Stolido camoscio, che pure saresti fatto per pianure
ma ti ostini a stare in erta, se fossi senza nome
andresti più ramingo: in mirino o per abissi
hai senso solo nel battesimo. Temibile Lupo e fiabesco
che hai termine di terrore immeritato e solo e non sai,
pure tu, che Uomo ti indica quando addenti e migri.
Siete tutti incatenati tra voi, senza parole per conoscervi
o per trucidarvi d’amore e lotta. Tutto ciò che vive è abaco,
disposto per specie e pure le dimore hanno sostantivo.
È Uomo a darvi senso, Uomo, l’unico capace e regnante
di nominarsi e spaventarsi da sé nel nominare voi
(farfalla, rinoceronte, cavallo, albero, margherita, serpe,
camoscio, lupo) mentre vi stermina, vi abbatte,
vi alleva, vi brucia e vi mangia. Uomo che chiamerà
e se non risponderete, in quell’eco finale,
dissolverà il suo nome. Ultime, inverosimili deità che,
dalle coscienze ottuse, dai nomi decaduti e vani,
rattrappiranno immemori nel vuoto originario.
Vagheranno dolenti
atomi di rimpianto
per l’amore tradito
gene

