
Un altro faro acceso sulla mia esistenza è il mio cognome. Tipo: sei parente di quello dei camion? No, siamo dello stesso paese ma non siamo parenti. Poi se ne ho voglia spiego, ma quasi mai. E intanto penso: altri cinque centesimi che se si fossero sommati ai precedenti avrei la pensione garantita, che poi, va bene, l’avrei già sperperata da tempo.
Comunque non sono parente di quello dei camion, ma lui lo ricordano tutti e di me si sovvengono in quattro, generalmente per rompermi i maroni. Lo ricordano e me lo chiedono anche a una festa o a un matrimonio, anche se lui è morto una decina di anni fa. E lo ammiro pure, l’omonimo che negli anni Cinquanta, e non aveva nemmeno vent’anni, comprò un camion. Non un’auto, un camion.
Da lì ha svuotato montagne, costruito colline, elevato argini, lanciato ponti, innalzato dighe, divorato distanze cingolate, dato lavoro a centinaia di operai, avanti e indietro per tutte le valli e le pianure col suo pessimo carattere a immaginare bitume e scavi.
Partendo con un camion solo, vogliamo ricordarlo? E arrivando a una flotta di macchinari e scavatori, a una sfilza di pale e picconi che travolsero di gerra e sabbia gli anni Sessanta, i Settanta, gli Ottanta e lanciandosi nei Novanta con la temerarietà degli operosi.
Poi gli girò la fortuna, che fa sempre così, e qualcuno gliela fece pagare, anche perché questo mio omonimo non era proprio accomodante, tra minacce, insulti, piagnistei e prepotenze, in una legge della giungla in cui lui era il primitivo contro i doppiopetti: i calli contro i guanti.
Normalmente in questa perenne lotta si perde, capita a tutti e tutte, cari e care; cioè, capita a quelli che ruzzano terra e rotolano massi, mentre quelli del bidet in madreperla e dei formulari labirintici vincono, anche se da perfetti ottusi pensano di farlo per sempre e poi un giorno, sempre troppo lontano, zacchete, life in modalità tavolinomagico senza la capacità di battere neanche un chiodo piccolissimo.
Ma anche da sconfitto, il Nostro, è rimasto lì in ditta, un’altra, dalle sei di mattina e per primo, fino a notte fonda e per ultimo. Nelle curve finali della sua vita rombante si è ammalato, ma andava in cantiere con il catetere; dal letto finale esclamò ancora che le cose le avrebbe messe a posto lui, vacaeva.
Quindi, vedete poi voi: se mi chiedete del cognome mi incazzo, rispondo, poi incasso e se avanza qualcosa sperpero. In questo, siamo parenti, sì. E stretti.
gene
