
Sono mille papaveri rossi, uno sterminio che rinasce. Questa immagine della prateria fiorita è bucolica senza contesto, ma diventa simbolo di sangue nella metafora dell’autore.
Umili e resistenti papaveri che decorano le scarpate delle ferrovie, che crescono dove altri fiori non amano stare, o coltivati a forza per stupire menti e nervi.
Ma i mille papaveri rossi sono soprattutto le lapidi della guerra di Piero, la prima catastrofe mondiale nata e cresciuta in Europa, quella che era la terra dell’Illuminismo e che ritiene sé stessa il paradigma del mondo giusto. Tanto da esportare con forza la sua visione, col risultato di far fiorire milioni di mille papaveri rossi nei deserti e sulle montagne più aspre del pianeta, in mari angusti, un fiore per ogni tomba discosta senza pietà, voragini comuni, roghi di corpi la cui cenere diventa concime per altri affranti papaveri rossi.
Sarebbe un mondo senza frontiere, quello dei papaveri rossi ai quali non importa delle linee invereconde tracciate dall’Uomo per contenere o respingere, frontiere così immaginarie da diventare solide come muri di prigioni per chi sta dentro e chi sta fuori.
Il Potere, ogni potere, nelle sue forme tentacolari eppure sfuggenti, dispone anche delle semenze dei papaveri rossi, li vuole recintati, pronti per ornare le decimazioni.
Ma io so che i papaveri rossi vorrebbero essere liberi e che la loro libertà si abbracciasse alla libertà di tutti, senza più un solo potere, in nessun luogo, in nessun cuore. È nell’assenza di potere che tutto fiorisce davvero e i papaveri rossi potranno così scegliere di crescere pietosi per le spoglie di chiunque abbia voluto vivere in pace, non in guerra.
gene
Postilla
È molto più difficile essere capiti facendo del bene che del male
Faber

Una replica a “Papaveri rossi”
Inutile mi ripeta su come scrivi, lo sai. Più che bravo.
Condivido in toto la postilla.
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