
Siamo arrivati qui tutti strepenati/e. Forse, /e (barra e per i meno svegli) perché le donne conservano una certa grazia e rientrano nella categoria di cui sopra solo quando si fissano di volerci imitare, sempre piuttosto male, del resto.
Ma vabbè.
Da strepenati nonché figli di strepenati del loro tempo arcaico e spesso immemori di ciò, ci mettiamo subitissimo ai blocchi di partenza per scattare verso l’albero della cuccagna, salendo e scalciando i concorrenti. E giunti in cima, ma non succede praticamente mai, con le luganighe in mano, non sapere come scendere, tipo cadere o lasciare le palle scorticate sul palo stesso, spesso nodoso. Che poi la cuccagna dura un così sia e tocca ripartire, spesso in terza fila, coi sandali di plastica, in pauroso arretramento a ogni svolta, ma seri e fiduciosi che dopo la cantonata c’è l’euromillions, o una Sharon Stone che non invecchia, come certe idee.
Tutto senza neanche renderci conto che ci si è incrostato addosso il rimasuglio dello strepenamento, sangue, acqua sporca, urina, merda, e in faccia il dolore pazzesco nostro e della mamma. Ma almeno la mamma sa, noi invece non sappiamo un cazzo di questo mondo sempre nuovo e ignoto, una repubblicona poggiata, oltre che sui dané, sullo strepenaggio autoctono e inferto a vicenda.
Poi ci seguirà un figlio barra figlia, strepenato anche lui lei, ma di nome Eitan o Sheryl, chissà che non porti bene, e tutto un lamento perché il corso di danza costa e allora, caro strepenato di ultima generazione, affronta il palo della cuccagna. Se possibile, senza prenderlo nel culo.
gene
