Sul finire del terzo millennio fui costretto a un viaggio dal quale non so come feci a tornare.

Ero in pace, non felice ma appagato nelle abitudini. Ma arrivò il giorno che ci obbligarono a entrare nel Monolite. Prima avevo un lavoro dignitoso, in giro per la Svizzera ammantata di verde o di bianco a commentare partite di calcio. Moglie fedele e figli rispettosi. C’erano guerre ovunque, ci arrivavano in casa da tutti gli schermi che avevamo, ma noi stavamo bene in mezzo alla natura e alla buona educazione che si tramandava da generazioni. Neutrali come ci definivano tutti, potevamo ignorare i rancori mondiali, anche se quando andavamo fuori dai confini ci tacciavano spesso di egoismo. Questo era il quadro. Mi mancava qualcosa, certo, senza sapere, ma chi non si sente così?
Non importava quasi a nessuno che in alcune linee di terra il governo avesse cominciato a scavare. Cubi di cemento sotterranei che emergevano dal sottosuolo per meno di un metro. Sembravano tartarughe, ma erano bunker. Rifugi per la popolazione in caso di guerra, li definirono, e in pochi protestarono anche perché le guerre lontane avrebbero potuto avvicinarsi. Si adduceva anche al Ridotto Alpino quale deterrente durante la Seconda Guerra Mondiale, non costava nulla crederci.
C’era una brutta aria, però. I Monoliti, come prendemmo a chiamarli, si moltiplicarono. E arrivò l’esercito, ci furono scontri nelle strade, qualcuno morì, ma alla fine ci mettemmo in fila senza rimostranze, almeno io.
– Troverete le provviste nei Rifugi. Ci rimarrete solo il tempo necessario per far passare la guerra. – Lo dissero con calma, ma in divisa da combattimento.
Pensavo di poterci andare con la moglie e i figli e con gli altri del mio paese. Invece mi separarono, mi condussero a Morgarten e mi dissero di entrare nel Rifugio, con altri cittadini a me affini, secondo loro. Non pensai molto al modo di scegliere le affinità, non c’era tempo. Entrai e chiusero la botola. C’era luce, tutto illuminato, e vidi i miei compagni, gli affini. Non conoscevo nessuno e nessuno parlava, potevamo essere di qualsiasi lingua. Una grande camera con una dozzina di aperture, cunicoli. Che altro fare se non imboccarne uno? Non mi andava di stare fermo ad aspettare, che cosa poi? Mi seguì solo un ragazzo.
Non so quanti giorni, o notti, camminammo. Trovammo cibo in scatola, acqua da bere e per lavarci. Nient’altro. Non sapevo se andavamo in discesa, in salita, a destra o a sinistra. A volte faceva caldissimo ed era difficile dormire con le luci del cunicolo sempre accese. Il ragazzo non parlava, e nemmeno io, ma lui non mostrava mai stanchezza e mi aiutava ad aprire le scatole se avevo freddo alle mani, mi puliva il viso quando la voglia mi si inabissava, mi preparava il giaciglio. A volte arrivavo a un respiro dal parlargli, ma il suo volto manifestava un gentile diniego, in anticipo sulla mia voce.
Poi il cunicolo sembrò salire, prima in modo impercettibile poi sempre più ripido. Le nostre ombre rimanevano dietro, allungate come se volessero lasciarci. A un certo punto, quando il tempo non era già più considerato un’unità di misura e non sapevo se fossero passati giorni o mesi, giungemmo a una grande camera, più vasta di quella che ci aveva accolti ma senza altre persone. E, uguale all’altra, una botola.
– Sono qui per obbligarti ad uscire – disse il ragazzo, in non so quale lingua che però capivo come fosse la mia.
– E se io non volessi?
– L’altra scelta che hai è tornare indietro. Vuoi?
– No.
Alzai la botola.
Mi avvolse una luce flebile ma limpida, simile a quella dei sogni, che non ferì i miei occhi. Uscii, mi alzai in piedi. Si vedeva lontanissimo. Non c’era niente, uno spazio vuoto denso di un suono e un profumo ignoto, non saprei come dire altrimenti. Mi girai. Anche il Monolite era sparito e io fluttuavo sentendo la mia essenza rivelarsi. Tutto qua, infinito.
gene

3 risposte a “Iperuranio o ignoto”
Qualcosa di bello questo tuo pensiero… alla fine non so se preoccuparmi o invece (finalmente) la serenità dell’infinito 🙂
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Non scrivo mai di me, mi affido alle bugie della letteratura
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E arrivo anche la mail!
Ricordi di racconti che mi segnarono per sempre.
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