
Nacqui, e tutti gli dèi affastellati si misero in disputa, intanto che mia madre perdeva sangue dagli occhi e mio padre temeva la notte. Gli dèi, nell’olimpo di fango che non poteva contenerli tutti senza che si scatenassero liti spietate, per ambizioni e ricchezze, per guerre e filosofie, vollero accaparrarsi servigi inconoscibili.
Non ero arrivato per una missione di salvezza, io lo sapevo già in quel mio vagito di fame e paura, ma pretesero che così fosse nella mia vita fino a qui e forse oltre. Arruolato da questi effimeri tiranni, con ancora il piscio sulle gambe dovetti ascoltare stentoree voci e ripetere incerto con la mia: l’asilo, la scuola, il lavoro, l’esercito, la famiglia, la patria, la razza, l’amicizia, la polis, la religione, lo studio, l’educazione, la lotta. Perfino l’amore mi fu impartito come struttura inscalfibile e vollero che credessi giusto, doveroso, il baciare la mano della carezza e quella della percossa, quella del cibo e quella del coltello. Una grande sacralità inconsistente, che nelle intenzioni degli dèi era di marmo abbacinante e invece fu solo di sabbia rovente nei miei occhi.
Eppure, quasi al bordo della cecità, disubbidii. Capovolsi i loro disegni, rovesciai le loro immagini, ne storpiai le parole e stonai le lodi. Nemmeno nelle prone orazioni imposte dalle leggi credetti per un solo istante alla miserrima università degli studi, a questo angusto luogo che ignorava e tuttora ignora l’Iperuranio, dove invece dimorano, eterne e volatili, le idee.
Da prassi, che si capisca, mi ribellai agli dèi con la semplicità della fuga e del nascondimento. Andai appresso ai miei desideri di un istante, cambiando passo e sentiero quasi ogni mattino per cancellare le tracce; attraversai le notti brancolando senza tema, analfabetico e orfano, verso ignoti zapelli o busciarine solo vagheggiate.
Venni rinchiuso in tutte le prigioni possibili, nei manicomi, negli orfanatrofi, nei lager, nei conventi, nelle galere, ovunque ci fosse una recinzione, una teisse, una trincea, un mausoleo. Certo, mi tolsero la parola con bavagli e bastonate; mi seminarono il cammino di tagliole e legacci; mi spezzarono le mani; distorsero i miei pensieri dando loro sensi inutili o feroci; tagliarono la mia lingua; mi usarono per la loro propaganda; mi affamarono. Mi accusarono, mi denigrarono, mi condannarono, mi imposero il pentimento, mi assolsero e infine mi sorrisero. Ipocriti. Tutti dèi violenti e ottusi, senza stirpe alcuna, vanagloriosi simulacri dell’inesistenza.
Ora che muoio, la mia diserzione li sconfigge.
gene
Un Natale di storie a Mendrisio
https://www.youtube.com/watch?v=aQppr38iAzk&t=271s
https://gabrielecapellieditore.com/2024/10/30/un-natale-di-storie-a-mendrisio/
