tuttologia in direzione contraria

Glace morte – Walter Rosselli

Ton créateur pourrait avoir un peu plus de respect des personnes âgées. D’autant plus s’il est lui-même âgé.

Ogni pagina di Glace morte (edizioni Slatkine) svela meraviglie, perfino impossibili da elencare. Un testo che si rivolge, sì, all’intimo afflato di una comunità dalla potente e ridottissima memoria condivisa. Ogni passo del Nandou e della Schmied è come se lo compissimo tutti noi di Preonzo.
Eppure si spande nell’Iperuranio dove dimorano tutte le idee e le emozioni degli islandesi, dei francesi, degli africani, dell’umanità intera, della flora e della fauna, delle pietre e dell’aria, nel passato delle prose e delle poesie dei giganti su cui accavallarsi e andare nel feroce presente e verso l’ignoto che si agita già attorno a questa stessa sera di aprile.
È un viaggio nel mondo naturale, che i due protagonisti dichiarano essere l’ultimo, come quello dei vecchi Inuit che abbandonano la vita quando essi stessi la riconoscono ormai vuota di significato; un viaggio tutto pedestre tra le montagne, ma soprattutto un prezioso viaggio interiore che il Nandou e la Schmied ci svelano con la generosità dei puri, con l’intelligenza di chi ha imparato e tenuto il sapere nei pensieri, nutrendolo per poterlo donare al momento esatto. Altro che più niente da dare: è il significato più alto che, a volerlo scorgere, ci abita tutti.
La prosa è magnifica, vira dal dolente all’ironico, affratellando con la delicatezza di chi ancora può e vuole il bene e non si cruccia di destinarlo con precisione dove serve, come una semina che darà forse risultati più avanti ma che, nel momento del gesto a spandere, solleva dubbi.
Il Nandou e la Schmied sono vecchi, partono pianissimo e la prima parte di viaggio è un’interminabile erta da dividere in tappe esageratamente brevi per chi invece in montagna ci va per divorarla nel minor tempo possibile. I due costellano i risvegli con esercizi di ginnastica puntuali, rituali, lenti. I sonni sono spesso all’aperto, con l’idea che morire e poi essere divorati dagli animali sia qualcosa di divino. Ma quando il divino si presenta – nei sogni, o in forma di apparizione diurna – viene puntualmente scacciato (emblematica, spassosa, e impagabile dal punto di vista della scrittura, la visita di un angioletto nel sonno della Schmied, intruso che alla fine è smontato in modalità socratica e con disdoro per aver osato spezzare la sacralità del sonno con una richiesta impertinente del “Créateur”).
Il cammino prosegue, e i due sono sempre più in forma. Dai loro zaini sbucano inaspettate bottiglie di birra e vino. Continuano a guardare, a parlare, a parlarci, ma il loro procedere si fa sempre più spedito e ardimentoso. E qui occorre fermarsi per non togliere il gusto al lettore.
Walter Rosselli, tramite il Nandou e la Schmied, restaura uomini e donne dispersi nello scorrere del tempo – il tempo che scorre o è immobile è un grande tema che l’autore indaga da sempre -, luoghi amati ed eterni, sentimenti che dimentichiamo di riesporre, fatti immortali che abitano il daimon di Walter. Ma io so che non gli garba il parlare di lui, come non garbava a suo padre, come non garba a chi fa della scrittura la parte preponderante della propria vita. Ma non ho potuto farne a meno, visto che siamo nati nella stessa casa e pensiamo le stesse cose nello stesso momento, anche a tanti chilometri di lontananza. Glace morte è il più bel libro letto da me nelle ultime ottocentomila ore.

gene


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