tuttologia in direzione contraria

Il testimone

Dove Arnemo Costici spiega alcune cose così al nipote di dieci anni

Ci sono squadre che, dicono, così si gioca solo in Paradiso, ma noi abbiamo giocato tutti all’Inferno e qualcuno non è tornato su. Vedi, adesso anche gli allenatori sono star e, finché le squadre vincono, loro esagerano coi concetti. Poi, pumfete un paio di volte o tre, e precipitano nei luoghi comuni e feroci, dal Brasile all’Olanda, Reali o Uniti che siano. Tu puoi anche non crederci, ma io ho concluso partite con dolori imponderabili. Una volta mi ritrovai alle tre del mattino su una panchina in riva al fiume con una spalla che mi bruciava come se colasse lava; e nemmeno l’amore clandestino che mi aveva condotto fin lì poteva lenire, cioè, un po’ sì, ma era più probabile che svanisse prima l’amore del dolore.
Le squadre dove ho giocato io erano rissose, con gli arbitri che non ci potevano sopportare e facevano di tutto per fregarci. Non ho mai dato la mano a nessuno di loro, proprio come diceva di fare Obdulio per non passare da leccaculi. La prima volta che abbiamo giocato di notte sono stato distratto dalla mia ombra quadrupla e sembrava che mi rincorressero i demoni, appunto. Non abbiamo mai giocato bene, come lo intendete oggi. Non contava giocare bene, ma giocare duro e vincere. Di solito l’allenatore era uno che ne sapeva meno di noi, che urlava nello spogliatoio, che ti metteva in panchina senza spiegarti. Una volta a metà tempo entrò in spogliatoio anche il presidente per sbraitare di vergogna e onore (eravamo sotto di due gol). Erano tempi così, non si delirava di paradisi. Si bestemmiava. Nessuno si pettinava prima di entrare in campo, nessuno sorrideva.
Ora, io non so, ma se con una squadra di ragazzini vai in fondo a una valle e rischi la pelle contro una cricca di masnadieri, con l’arbitro ostile, e poi alla fine ti tagliano in offerta un po’ di formaggio sogghignando, beh, non è il cielo, è una trincea. Ci portavamo dietro vendette e regolamenti di conti che valevano più della partita stessa, si trascinavano offese e minacce per stagioni, per anni. Qualcuno voleva giocare come in Paradiso? Balle, non era possibile: come facevi a immaginarlo quel posto? Conoscevi l’Inferno, sì, delle botte e degli inganni. Chiunque poteva entrare in campo per suonarti, e tu non potevi uscire.
Per tutto questo, io non ci credo all’alto dei cieli, ma agli abissi sì. Poi anche adesso che disinfettano il pallone, al momento cattivo vanno sotto terra a cercare vermi per non morire. Io, in volo non ho mai visto nessuno stormo, poi si può anche straparlare fino alla prossima. Non crederci, te lo consiglio, se vuoi salvare gli stinchi. Se potessi tornare indietro, al calcio non giocherei.

gene


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