tuttologia in direzione contraria

Breve trattato sul fare e sul gioco

Sono falegname dall’età di due anni, un mestiere che non regala vittorie e che non infligge sconfitte. Semplicemente, fai legname, cioè prendi l’informe e lo formi: trasformi la vita dell’albero nell’immortalità del tavolino. I mestieri sono tutti così, e anche i giochi: il gusto di operare e l’incognita del risultato. Il tavolino può non piacere, oltre ad avere qualche difetto imprevisto dato dal legno non essiccato al giusto, dall’incastro impreciso, dalla scheggia che si stacca, la tinta troppo scura, e magari alla fine traballa pure. Ma ti resta l’appagamento intimo, dell’anima e delle mani, del ragionamento e dell’abilità, delle ore passate a fare, e tutto il mondo fuori; ti completa la serenità di quando stai dando il meglio, poi andrà come andrà e se andrà male, se il tavolino non piace a nessuno, me lo terrò io con i suoi difetti e la mia cura. Sarà per sempre e in ogni caso qualcosa che mi rappresenta.
Be’, e allora? Allora è così, appunto, anche il gioco, o lo sport – a proposito, sabato scorso Nicolò mi ha detto con molta serietà che il calcio non è un gioco, è uno sport, e non ho cavillato.
Però voglio dire che invece lo sport è un gioco, che disputi, che svolgi. Ci vuole inventiva e impegno, l’occhio per i particolari come col tavolino. Se hai un compagno di gioco sei chiamato dall’istinto a competere, ma anche senza saperlo, o dirlo, senti che la bellezza è nel momento in cui giochi (o fai il tavolino) e per questo devi cooperare con il compagno (o con la scheggia), anche se è un rivale. Sta lì, il senso. In quello che fai, non in quello che avrai. Non nel risultato, ma nello svolgimento. Tu lo sai, io lo so, che magari il tavolino non lo vorrà nessuno. Tu lo sai che il gioco magari lo vince l’altro. Lo sai da subito che potrebbe anche andare male, e però ci metti il meglio di te, possibilmente con onestà e rispetto, studiando allenando immaginando indugiando tra coraggio e incertezza.
Alla fine, il tavolino o la partita, ti avranno fatto, ti avranno aggiornato sulle tue possibilità e sulle tue carenze. E ti resterà per sempre la bellezza del falegname che gioca e del giocatore che fa. Non avrai bisogno della gloria effimera e famelica del risultato. Non ne ho bisogno.

gene

Postilla.
Una tiratona per dire che la Svizzera ha giocato e fatto, e pazienza se non ha vinto: le voglio bene lo stesso, anzi, di più. Come al tavolino traballante.

Immagine: Il banco da falegname (Dario Zanetti)


Lascia un commento