tuttologia in direzione contraria

Le inutili cronache da Atacama

un 22 e un 23 luglio, come oggi

A San Pedro l’acqua è avvelenata, cioè: contiene arsenico e ci si deve abituare con alcune settimane di mal di testa. Il che, con la poca voglia di sacrificio che anima tutti e chi dice di no mente, ci portò a virare sulla birra, okay, poteva andare peggio. Non era partita col piede giusto l’avventura, la Frilly non sopportava le galline tra i piedi, nella casa della Signora Nora, che la famigerata Routard non aveva segnalato. A me non davano fastidio, e mi piaceva pure che arrivassero a turni stretti parenti o amici della Signora Nora. Le avevamo detto che eravamo svizzeri, e lei allora tutti qua, venite, che sono ricchi, anche questi due che non sembra, e qualcosa resterà be’ attaccato, hanno pensato. Solo che la Frilly era studentessa e io disoccupato, la cioccolata non ci piaceva, le banche non ci spillavano crediti e gli orologi a cucù non li avevamo portati per la poca praticità. Dopo un po’, anche le galline avevano compreso, dall’alto del loro proverbiale acume segnalato dallo sguardo vispo e di traverso, anche le galline avevano compreso che nada.
Cambiammo pensione, ne trovammo una con l’amaca nel patio. Mentre sono lì a oziare in dondolìo e con merito, mi fregarono l’obiettivo della Minolta, che credo abbiano poi attaccato a un bastone per qualche rito dei loro. Naturalmente, la Frilly mi insaccò subito, non per l’obiettivo vero e analogico, ma per quello spirituale che per lei era mancato, se s’andava avanti così.
– Siamo dall’altra parte del mondo con tutto da vedere, e tu dormi! –
– Eh bon… –
Poi mi alzai lo stesso perché so che quando fa così marca brutto ancora adesso.
La sera scese alle sei, la notte alle sei e mezza. Sono abituato ai tramonti d’agosto sui monti che durano fino alle nove e rompono anche il cazzo, a volte. Lì, nel deserto di Atacama, alle otto l’aria era già precipitata in apnea a meno dieci e i capelli bagnati dalla doccia gelavano (viene da lì il termine gel?). La Frilly piangeva di rabbia e di freddo, ma trovammo un cortile con il falò e riuscii a farla mangiare, che sennò anche il clima lo faceva diventare una mia cospirazione contro di lei.
Il giorno dopo nella Plaza, e nel sole che rimontava placido ai venticinque, erano state disposte, da mani beffarde, delle teche. Con i ragni più velenosi delle Ande, più altri insetti repellenti e tutti vivi, roba che dopo due passi sei stecchito oppure ci metti due ore ma paralizzato. La Frilly aveva preso il colore della sabbia, a me piacevano. Ecco. Dovetti caricare sulle mie potenti spalle anche l’evoluzione maligna dei ragni e delle serpi, che lei imputò a me per il gusto boomer di farla piangere. Zio cane. Ispezioni dei cuscini e dell’acqua del cesso, avanscoperte con bastoni rivoltando sassi roventi, sensazioni di morte da moscerini, supposti nidi nei tacos. Un po’ ci ridevo su con gli allegri atacameños, pensando di sdrammatizzare, ma poi finivo alle due di notte di guardia alla porta con un ammazzamosche di cartone, mentre lei incubava sofferenze immaginarie ma molto solide nel rivoltarle contro di me.
Penso a queste cose per non lamentarmi oggi, che fa caldo e mi annoio.

gene

Poi magari continuo


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