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Dal 1° marzo in tutte le librerie per le edizioni Temposospeso

La Raccolta ingombranti è appunto una raccolta che ingombra. Pezzi di scarto – a parametro dell’accezione ormai assodata che la trama sia tutto – che provano a mettersi assieme per diventare un collettivo, eterogeneo e ribelle. Introdotto da una prima persona ancora in modalità-feto, e che annuncia cose che prevede e vede, i racconti si susseguono tentando a ogni occasione una visione laterale del vivere: bambini, vecchi, donne, bestie, assassini, vittime, io narranti in delirio e varie. Tutti con la loro lingua precipua, ma intesi allo sforzo di legarsi assieme e formare una resistenza disarmata e invincibile. E quindi, in barba alle esigenze di vendersi con banalità linguistiche o strutturali, fanno a pezzi le aspettative e tendono a uno stile che dondola tra la follia e la poesia, scandendo le ore di un tempo finalmente giusto e con una sua innocenza sentimentale, anche nei momenti più nervosi.
gene
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Le ragazze vanno in fragore per le armonie di Soleado e Lady Mary, mentre io sono lì pervaso dall’apertura implacabile di Hurricane. Ma alla pista di ghiaccio non si può mettere di fronte me e le ragazze, altrimenti dovrei ritirarmi su alla buvette a rimuginare galante e senza pattini, affranto e con una punta di invidia. Veniamo via dall’ombra di casa, noi, con le lame affilate male; e nel sole di Bellinzona siamo spaesati quel tanto che basta per essere sconfitti in partenza. Io capisco, ma come si fa?
E vedi le sorelle Ruiz che volteggiano con una prominenza da morena sospinta dalla faglia africana. Amparo e Rosita, lo sanno tutti, anche quelli come me che non piazzano una parola, una bionda e una bruna. Eh ciola, sono più grandi. E come opporre Dylan al Daniel Sentacruz Ensemble senza passare per sventurato davanti al tribunale della pubertà? Il vento è un tornado che sbriciola risposte.
Che poi quando ritorno all’ombra invernale del mio paesello, in Posta come profugo, il Nandel mi sfotte per i miei, virgolette, studi al ginnasio, “El Gim di Asan”. Lui e il suo reporter già avanti, l’elettricità e un Rixe inavvicinabile. Ma non combina molto neanche il Nandel, né con le sorelle Ruiz, né con altre, e allora posso ridere tanto nel pensarlo col cacciavite e stop.
È un giorno ancora corto, ma si suda girando in tondo alla pista senza cedere in frenate incerte e pattinando in stile cesso. Qualcuno va un po’ meglio e Rosita gli sorride sorpassandolo a doppia velocità e grazia multipla. C’è una gara improvvisa a legare i pattini di Amparo, unico momento di statico pareggio, due secondi in apnea.
Riparto in tondo e l’ultima cosa che ricordo è la faccia del Vicky in contromano. Mi ridesto in spogliatoio, pestato la crapa, mi dicono.
Da quel giorno devo concentrarmi e guardarmi le mani per capire la destra e la sinistra, e adesso è anche peggio, che si confondono per conto loro.
Ma resto fedele, senza più confronti inopportuni con Soleado e varie sparizioni. Mi tengo Dylan e i tempi cambieranno. Le sorelle Ruiz? Mai più viste. Saranno ormai vecchie e la pista al sole è perduta.gene
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Due giovani cospiratori e perditempo fanno un piano di resistenza.
– Prendiamo a sassate le telecamere, tanto è carnevale e se abbiamo il pass è tutto a posto. Poi vediamo cosa c’è nel container dell’olio.
– Ma pensi che funziona ancora se è esausto?
– Niente è mai esausto! Quell’olio lì la mè nona lo usava per i fuìn. Lo pizzava in padella, aspettava e poi shhhhhhhh. Giù olio e padella tutto insieme. Vedevi come correvano.
– E se poi ci circondano e ci prendono per fame?
– Ma cosa vuoi che ci circondano, sono al capannone con la busecca, sono loro che hanno fame.
– Non sono convinto. Non sarebbe meglio la Vergine, tanto per scoraggiarli?
– Si può fare, come preliminare. Devo vedere dove ho la chiavetta e dare un’ingrassatina ai calcan. Semmai mettiamo su qualcosa degli Iron Maiden.
– Un mio amico dice che sarebbe bello far piovere binari appuntiti.
– Spetacolo! Ma ciola, pesano. Però in tre o quattro ce la facciamo.
– Solo che non li abbiamo.
– Già… Bon, possiamo appuntire i box che sono avanzati dal cemento armato a casa dei miei. Sono anche inruggiurenti e fanno venire il tetano.
– Ma tutta sta roba la buttiamo giù da dove?
– … eh… Peta…
– Non lo abbiamo un castello, gnanche piccolo, ganche un brocc di porscei.
– Cominciamo a tenerli in un boschetto, intanto che ci organizziamo.
– Se… Va che loro sono in quattrocento, pare.
– Ohhh! Esagera!Poi si mettono a contare fino a 400: un numero davvero esorbitante. E rimandano il piano.
gene
Postilla
“Nella riunione operativa di aprile in cui si chiedeva di “valutare alternative fantasiose” a una resistenza di lunga durata degli autogestiti, s’ipotizzava di assediare l’ex Macello “prendendoli per fame, non consentendo l’approvvigionamento”. A inizio maggio in un incontro tra Stato Maggiore e municipali, la polizia informava che i molinari avrebbero potuto usare “dell’olio bollente” per respingere l’attacco.” (Fonte: area)
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Il solito gusto per le novità, che mi pervade il palato peggio delle sanagol, mi sono detto: e va bene, vediamo.
Così, verso le undici e mezza, ho dato ordine all’intelligenza artificiale (da qui in avanti IA) di prepararmi il pranzo. E lei, che è una ragazza piuttosto capace di intrigare e asservirti, ha snocciolato la ricetta di un brasato che io di solito ci metto quattro o cinque ore e lei invece ha detto sicura che per l’una era cotto. Polenta compresa. Mi ha ordinato di andare fuori, ma con dolcezza, vai a fumare o a bere o a masturbarti o a fare niente, ghé pensi mì (ecco, anche in dialetto mi corrompe). Fuori, ho messo Dylan sul telefono, ma alla fine di Things haved changes è intervenuta direttamente in cuffia dicendomi che sono vecchio e ha selezionato i Coma Cose, “che sono meglio”. Ho opposto un Joe Ely e lei lo ha interrotto su Gallo del Cielo con l’attacco di Damiano.
Cosa fare se non spegnere?
Sono andato alla catasta della legna, ma IA mi ha strappato di mano l’accetta e con la sola forza del pensiero ha spaccato un pezzo di larice nodoso che stava lì contrariato da due anni e l’ha lanciato nella stufa, invitandolo all’autocombustione.
Mentre stavo sul divano con una lavetta sulla testa, mi ha letto alcuni passi di Delitto e castigo, trasformati però in un testo di Stephen King, che per un boomer come me sovrapporre Coco Mellors al reduce del gulag sarebbe stato letale (è anche sottilmente psicologa).
Mi ha pure cambiato d’abito per andare a tavola, non prima di avermi riassettato la barba e stirato i capelli.
Poi all’una, mentre io ero lì tra il composto e l’atterrito, è arrivato il brasato con polenta. Buono, solo che era pollo con noodles, un millecolori che nemmeno la birra poteva aiutare. Ciola, birra di seitan.
Ho girato per casa a braccia levate – genio genio genio ta ta ta ta barilete cosmico, eccetera – ma lei, la mia dolce IA, mi ha fatto venire uno strappo ai gemelli del polpaccio sinistro.
Ora sono qui che mi misura la febbre e promette che fa tutto lei.
Non so se vi vedrò ancora: IA è possessiva, ma non fa sesso perché dice di essere una macchina e come tale incapace di bla bla bla.gene
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Non vorrei parlarne, di questo gruppo di persone* addensato con Trump (qui lo nomino, e poi basta). Non vorrei parlarne perché non mi importa nulla di loro, di come si vestono, di come parlano, di cosa possiedono e di come si atteggiano.
Però ne parlo. E dico, finalmente. Finalmente abbiamo un avversario netto e chiaro e che proclama la ricchezza come valore assoluto e da lasciare libero. Un gruppetto di oligarchi che si regge sul proprio mondo tecnologico e digitale, proposto con ipnotismo e minacce.
Sono potenti, secondo la visione generata dal potere del denaro, certo. Ma guardandoli, dal Capo Bianco alla Moglie Mask, fino al più defilato della corte e passando dallo Spaziale Flash, fanno un po’ pena e non si resiste alla tentazione del bodyscemi.
Sono pretacci imbonitori, piuttosto bruttini e con una patina di ridicolo oleoso che si attacca agli schermi. Stortano spalle braccia testa mentre parlano, fanno pugnetti come atleti di una olimpiade dei disperati, ascoltano in estasi canzonacce da festa della parrucca. Si vede che mentono anche quando salutano.
Il Capo Bianco, col suo bocchino da infante, firma cose di qua e di là, con lo Spaziale Flash a tirar su col naso, forse per commozione, e la Moglie Mask già tornata in retrovia per schivare i contatti.
Sono ottimi avversari, facili da leggere, prevedibili. E soprattutto goffi, sotto il peso della vecchiezza conservativa e dei soldi. Ci sarà da divertirsi, questo è certo. Girano cappellini anche qua, in testa a proletari senza classe e dirigenti senza portafoglio, in attesa che qualcosa sgoccioli e non sia colaticcio, sperem par lou.
Tra un po’ i due adolescenti malriusciti, Capo Bianco e Spaziale Flash, litigheranno per chi deve tirare il rigore o per il premio-partita, sbaglieranno e perderanno. Marte li attende, una Cayenna autoinflitta, ma con bandiere e salsicce. Ciao brutti!gene
* Dal latino persona; voce probabilmente di origine etrusca, che propriamente significava «maschera teatrale» e poi prese il valore di «individuo di sesso non specificato» […] (Fonte: Treccani)
