Il momento di aggiungere altri sentimenti arrivò un giorno di maggio. Con la Vespa revisionata, i Giorgi partirono verso est. Questa cosa dei Giorgi la spiego una volta per tutte, che tra sorrisini e sorrisoni uno ne ha abbastanza: mia nonna si chiamava Georgette, io mi chiamo Giorgio e quindi, ditemi voi se non ho ragione, mia figlia è Giorgia. Non beccammo una sola multa e nemmeno ci fermarono mai, in tre su quella Vespa, non per magnanimità degli sbirri – il cuore tenero non è una dote di cui sian colmi i carabinieri, eccetera – ma perché la nonna era così minuta da poterla tenere nei nostri cuori, a turno. In verità io custodivo anche Olimpia, mia mamma. Un viaggio con tre donne, dunque, ma a Giorgia lo dissi dopo la partenza, casomai non si fosse fidata del mezzo motorizzato o dei suoi occhiali per proteggersi dalla febbre da fieno.
Tra curve e semafori insubrici, arrivammo a destinazione. Montisola ci apparve verde in mezzo al lago. Ci traghettammo e prendemmo posto all’Albergo dei Pini, camera doppia. Cenammo con la cartina spianata, indicando la cima di quell’isola inquieta e lacustre. Mamma e nonna mangiarono poco, Giorgia e io tanto.
Visto che solo i cinici e i codardi non si svegliano all’aurora, al sorgere del sole eravamo già a metà sentiero, tra i piagnistei di Giorgia che non capiva il senso di quella fatica per andare in un posto dove c’erano solo una chiesa con santi e madonne di legno. Per il panorama e per farlo vedere anche a Olimpia e Georgette, dissi. E al che, la smise coi lamenti e con le sue gambette arrossate dall’allergia camminò orgogliosamente fin lassù.
Mamma e nonna sospiravano, mai avrebbero pensato di avere un’altra occasione come quella, Giorgia si scolò una coca al baracchino con le cartoline e i souvenir. Io andai dietro un sasso a sentirmi le lacrime.
In discesa, dall’altro versante, ci perdemmo in una boscaglia, come nelle ginestre sopra Bens.
Nel viaggio di ritorno stemmo più comodi perché eravamo rimasti in due, Giorgia e io. Georgette e Olimpia si fermarono sull’isola, dato che nell’eternità nella quale si annoiavano c’era tempo per tutto, specialmente per le cose belle fatte insieme.
Io le ho conosciute da vive, Giorgia no. Però le portiamo sempre con noi, accudite come si deve, giusto per alleviare il loro tedio e la nostra malinconia. E per il prossimo viaggio, sono aperte le iscrizioni, che i cuori dei Giorgi sono sempre più grandi.
gene
Postilla
Ciò che il cuore conosce oggi, la testa comprenderà domani.
Seneca

intera di attese, di diventare grande, che arrivasse Natale, che la ragazza lo guardasse, che giungesse la palla buona, che piovesse, che nevicasse, che leggessero le sue storie.
dal pavé, i tizzoni ballonzolano come stelle a San Lorenzo. Le piccole ruote della griglia mobile non sono abituate a lunghi tragitti e soffrono. Uno spinge con mani guantate per proteggersi dall’inferno rotante, gli altri due portano assieme la cassa con gli utensili, il pane e i cicitt sopravissuti alla giornata.
e lui scorrazza scalciando fino a quando giunge e mi spinge con il suo testone punk. Gli prendo il muso sottobraccio e andiamo in giro per il prato come una coppietta. Chiaro che si aspetta un taralluccio o una carota, eppure pazienta. La madre guarda da lontano questo figliolo prima reietto e poi accolto dopo che il Rinaldo aveva ritenuto il fatto inammissibile e li aveva costretti a una convivenza forzata. Il Piccolo aveva pochi giorni, malfermo tentava di attaccarsi alla mammella e lei lo scalciava furiosa. Ma col Rinaldo c’è stato poco da fare e dopo due settimane la madre s’arrese e non lo lasciò più.
