Poveri com’erano, quella bocca sembrava solo un cratere dove sparivano viveri. Poveri
com’erano, la forza per capire l’assenza di voce e logica non la trovavano. Nato prima del dovuto, nel suo tempo e in quello della storia, il bambino era languido e assente. “Scemo” fu il responso del prete, confermato dai lumi del dottore. Quella parola, mitragliata dalle cascate di pioggia che quel giorno lavava scienzea e coscienza, convinse subito anche la madre. La donna superò la cosa fingendo che non fosse stata mai pronunciata, il padre si vergognò da lì alla fine dei suoi giorni. Non lo battezzarono, non ne valeva la pena perché il prete aveva detto che quella era l’anima di un gatto e che quindi il problema del Paradiso non si poneva. Gli diedero lo stesso un nome, come si fa coi gatti, appunto. Lo chiamarono Uomo, per distinguerlo dagli animali.
Uomo mangiava, respirava, andava al cesso, si puliva e dormiva come gli altri, o più degli altri. Diventava alto e magro, avvolto nel suo presunto nulla. I suoi consumavano pane e companatico prezioso, pensavano con avarizia. Solo il timor di Dio impedì loro, più di una volta, di ucciderlo per pietà o convenienza o vergogna, ma il pensiero inchiodava vite e speranze.
Il padre chiedeva alla madre da dove venisse quell’essere, sperando in un tradimento, seppur doloroso, che lo assolvesse dalla tara. La madre rispondeva sempre e solo “da te”. Domande e risposte sempre uguali, ogni volta che Uomo s’inadeguava nella vita. Il dileggio saltuario non sembrava scalfirne il distacco, a meno che qualcuno si spingesse oltre e gli provocasse un dolore fisico. Allora, afflitti suoni uscivano dalla sua bocca, lacrime scorrevano fino a quando con un dispiacere malinconico e profondo non si sedeva in qualunque posto si trovasse, fino a quanto bastava al suo male.
Attorno ai vent’anni, vestito con stracci rammendati, si aggirava ancora e sempre da solo e senza meta, inoffensivo e inutile. Eppure, Uomo non si era mai perso, era sempre partito e tornato a casa senza sbagliarsi, dall’alba al tramonto. Buona cosa, che non torni a mezzogiorno, pensava il padre, così almeno a pranzo risparmiamo.
Uomo sapeva vestirsi e svestirsi, mettere i sandali e toglierli. La madre si limitava a una strigliata equina prima di accompagnarlo a letto. Dormiva sereno, al massimo si alzava per uscire sul ballatoio per pisciare. Uomo non dava fastidi, non disturbava e non c’era nessuna possibilità di internarlo in manicomio con la forza poiché la sua mitezza sconfiggeva ogni ipotesi di pericolo, per sé e per gli altri. Ma la vergogna schiacciava sotto il suo tallone padre e madre, ogni maledetto giorno. “Almeno fosse violento, potremmo spedirlo a Mendrisio e dimenticarci di lui”, pensavano all’unisono, senza confessare.
Poi, un giorno, non tornò al tramonto. Lo cercarono per ore e poi lo trovarono. Uomo stava appoggiato a un castagno discosto, solitari entrambi. Era sveglio, ma attorno lui segni di lotta furibonda contro gli spettri. Il dottore confermò: epilessia. Il prete aggiunse che quel male è la mano del demonio. Ce n’era abbastanza.
Uomo varcò il cancello del manicomio di Mendrisio nel 1968, tirato per un braccio dal padre e seguito dalla madre con un fazzoletto in testa per coprire la canizie.
Dopo tre anni ricevette la prima visita, alla quale non mostrò interesse. Il padre lo trovò altissimo e magrissimo, la madre pianse e basta. Il direttore disse loro che Uomo stava bene, a patto di legarlo con le cinghie a tavola e a letto. Con quattro pastiglie e una puntura, non sviene nemmeno, concluse.
Altri tre anni più tardi, capelli rasati e una tuta grigia senza bottoni, da sotto la quale spuntava una maglietta con scritto Jackie Stewart, Uomo accolse i genitori alla seconda visita, un pomeriggio profumato di mandorle. Sorrideva, di fianco a una giovane infermiera dai capelli biondi, una Marilyn tutta per lui. Salutò, perfino, con un veloce gesto della mano. Sempre altissimo, stavolta non fece piangere la madre, almeno. Si era saputo che al manicomio erano cambiate molte cose, ma il miglioramento di Uomo era così grande da non poter essere compreso se non con la grazia di Dio.
– Sono solo le nuove terapie, invece – sussurrò Marilyn con la stessa dolcezza con la quale teneva le dita di Uomo. E grazie a queste, sarebbe potuto anche tornare a casa per un paio di giorni ogni tanto, per cominciare, se fossero stati d’accordo. Erano d’accordo? Non potevano dire di no.
Due giorni, non di più, il tempo per il prete di dire che dal demonio non si scappa e di far arricciare il naso al dottore, che preferiva ancora le vecchie cinghie. Uomo mangiò anche a pranzo, composto e silente. Non lo fecero uscire di casa, per il terrore di ripiombare nell’affettata commiserazione della gente. Lo riportarono a Mendrisio il mattino della domenica, senza neanche andare a messa, per non perdere tempo, che tanto il Signore avrebbe capito lo stesso.
Uomo corse incontro a Marilyn. Non l’avevano mai visto correre, nemmeno da bambino. Rimasero al cancello, la ragazza salutò da lontano, ripresero il treno.
Nel 1989, morì il padre. Cinque anni dopo, la madre. Non avevano mai più visto Uomo e avevano concluso il loro giro sulla terra, come diceva il prete, nella totale dedizione alla Santa Madre Chiesa, nella misericordia, in povertà e umiltà.
A Uomo, dimesso dal manicomio a trentasette anni, trovarono un laboratorio di falegnameria nel quale imparò a creare dalle sue stesse mani, un tempo inutili. Ogni sera, ancora oggi, torna a casa di Marilyn come un Joe Di Maggio ritrovato prima di averlo perduto.
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Postilla
Essere classificati come malati di mente era un requisito necessario per essere ammessi in un ospedale psichiatrico. Il medico specializzato veniva chiamato solo dopo che l’individuo era stato etichettato come pazzo o il comportamento era diventato problematico a livello sociale. Fino al 1890, vi era poca distinzione tra La classificazione di pazzo e quella di criminale. La classificazione veniva spesso utilizzata per limitare il vagabondaggio e i mendicanti, oltre che i malati di mente veri e propri. Nel 1858-1859 nell’Inghilterra vittoriana si diffuse quello che fu poi definito il Lunacy Panic, quando molti medici erano soliti classificare persone in realtà sane di mente, perlopiù semplicemente asociali, come malati di mente. Queste persone erano forse scomode o d’imbarazzo per le famiglie, che preferivano segregarle nei manicomi.
I moderni ospedali psichiatrici si sono evoluti nel corso del tempo e in molti paesi hanno sostituito i vecchi manicomi. Lo sviluppo del moderno ospedale psichiatrico è correlato alla nascita della moderna psichiatria. Mentre in precedenza esistevano strutture che ospitavano il malato di mente, l’istituzionalizzazione come soluzione al problema ha caratterizzato la storia medica del XIX secolo. Per illustrare questo concetto con un esempio, in Inghilterra agli inizi del XIX secolo c’erano, forse, qualche migliaio di “lunatici”, alloggiati in una varietà di istituti diversi, ma nel 1900 questa cifra era cresciuta fino a circa 100.000 individui. Che questa crescita coincida con la diffusione dell’alienismo, in seguito conosciuta come psichiatria, ossia una vera e propria specializzazione medica, non è casuale.
Il trattamento dei pazienti nei primi manicomi era a volte brutale e focalizzato sul contenimento e sulla moderazione del comportamento. Le successive e graduali riforme in molti paesi, con l’introduzione, ad esempio, di trattamenti più efficaci, hanno portato alla nascita dei moderni ospedali psichiatrici ove si tenta maggiormente di aiutare i pazienti, per quanto possibile, a controllare la propria vita nel mondo esterno, con l’utilizzo di una combinazione di psicofarmaci e della psicoterapia. Questi trattamenti possono anche essere imposti su base non volontaria. I trattamenti su base non volontaria sono tra le molte pratiche psichiatriche osteggiate dai movimenti antipsichiatrici, che sono invece, di norma, favorevoli ad un trattamento psichiatrico consensuale, a condizione che entrambe le parti siano libere di ritirare il consenso in qualsiasi momento.
(Fonte: Wikipedia)