Saresti stata? Chissà Nemmeno mi ascolti non puoi, no: stai di là, oltre il binario Uno e il Due dove porterà? Sembri guardare me che m’imbarcherò dopo, o prima Andrai all’incontrario a ovest, il Giura Libre o forse Ginevra la Grave
Di colpo mi sorgi davanti apparsa non so come E non mi guardi e io non parlo Svanisci e m’immagino: saresti stata amore? Saresti stata lutto? E subito mi accascio: brutta partita zero a zero alla Tuilière
Gli era sempre piaciuta l’entrata a pie’ pari di quando giocava a calcio. Il dicembre di quell’anno, che dapprima s’intendeva metaforico e santo – la tradizione, l’idea, la pace, la neve, l’altra guancia – lo volle pratico come spalare terra. Sveglia! C’è da fare, periodo buono per vendere e comprare! Ah ‘iocane. E il sacro allora? I money, tarluch! Dasedet! Verso il due, un martedì che albeggiava dopo il solito lunedì a tirare assieme un bel niente, si propose con grinta: faccio anch’io. Sfogliando di qua e di là, giornali e social più qualche distratta occhiata alla tele e orecchie acufeniche alla radio, aveva notato orsacchiotti di pangrattato, coltelli cinesi, ventole per stufa, white week, aberelli di polistirolo, corsi relazionali, consigli musicali e opere pie à la carte – elenco ridotto per questioni di spazio e possibile noia per chi legge, ndr, nota del resiatt. Faccio anch’io, ma cosa? In uscita, già sull’uscio, brillavano alcuni libroidi, raccolte di cose vecchie e di cose pretestuose che magnificavano odissee de ‘sto caz, gialli di un mondo improbabile, affermazioni estese di sé, depurazioni di stile in equilibrio, deliri di canaglie a invito, riesumazioni di cadaveri letterari. In fondo, Gesù Bambino ha tutto sotto mano. Un libro ce l’aveva anche lui, concluso qualche mese prima dopo cinque anni a mettergli un tetto di cemento armato su pareti di abete di 13 mm (le perline). Crollato e bocciato da alcuni editori? Ci rimase male, ma poi si era detto che lui si spezza ma non si piega, proprio il due se lo disse. Convocazione a velocità della folgore di tutti i santi del calendario, che non fanno mai niente tranne stare lì di fianco alle annotazioni – Compleanno del Senesio. Dentista. Riunione Ovini. Apericena coi Majoti. Fine dieta. I santi del Collettivo Cimitero, per colletta e autopublishing, dissero sì. E con uno dei loro miracoli, per il dodici era stampato e verso il venti almeno quattro copie erano state vendute, scambiate per pubblicazioni dei Geova, con tanto di porta a porta e prediche sulla decadenza. Altro che teorie sulla bontà e sui giusti modi di dire, sui viaggi della speranza e sui ritorni d’immagine. Le contumelie dei “clienti” meritavano ascolto. Venduto aveva venduto, contributo dato. Portò le sedici copie restanti sotto l’albero della piazza e gli diede fuoco come al primodagosto, divertendosi fino alla cenere. A Natale mangiò ravioli in scatola. Da solo.
Io so chi è. Io so chi è il Sottobosco Francesco. Non come il Cotti Alberto che sembra millantare il segreto, e poi satireggia ineffabile. Io lo so davvero. Altro che morte del giornalismo d’inchiesta! E mi girano le balle che il Sousbois si approfitti dell’anonimato per invadere territori non suoi. Si è venduto al Capitale! Orrore! il Francis. Come un mulo parlante qualunque. Dal suo eremo, un loculo bellinzonese, è balzato fuori e si è preso il diritto di sbertucciare il mondicello nostrano. E va bene, va bene, fai bene Francis a smerdare Lugano, fai bene a deridere il Libro Bianco, quello della verginità di una meretrice, ma più ricco; fai bene a incozzare i Dadò, i Mirante, i Pamini, i Chiesa; fai bene a tapparellare il misero penser-de-latrine del Regazzi, che non è neanche un Regazzoni e in curva fa cagare; ti ammiro, okay, quando obbietti che il Gobbi, in fondo, occorrerebbe farlo bere di più, così da farlo parlare in termini. Oh, io sono anche d’accordo sull’Underwood mascherato, come Zorro. Sono d’accordo con lui su tutto, sul calcio che esiste solo nel Sopraceneri o sulla vita sociale che a Lugano porta alla pena capitale. Sono d’accordo. Sono d’accordo, cazzo! Però, vendersi al Capitale no. Che cosa ci fa il Sottobosco in libreria? Non è che un rovo, che punge e non si penetra. E invece, tallo lì che fa la strenna. Allora, visto che toglie il pane di bocca a me come scrittore, diopo’, ve lo dico io chi è e come è tornato fino a qui, all’assunzione di gloria. Da un loculo, è risorto, appunto. Era stato laicamente incenerito alla fine di una vita e di una carriera esemplari, dove il pane era pane e non agglomerato di qualcosa. Dove il vino non arrecava etichette sboronesche, ma fermentava in cantine vietate ai minori. E le parole contavano! Come sia riuscito a rinascere, solidificandosi dalle ceneri come un golem del Motto d’Arbino, non so. Non lo so! Ma è lui. È il Righetti Argante! Lines Winching! Il radicalismo invece continua a essere morto. E comunque ci vediamo al firmacopie.
Al limite, se proprio, scarpe senza stringhe, ma evitare di fare di testa propria, mi fanno quelli dell’assicurazione, per iscritto, che a me ci tengono, come dicono sempre nelle lettere dove parlano di costi e aumenti inevitabili, e in linea con il prodotto interno lordo. Bisogna che ci mettiamo in sicurezza, in guardia, dagli infortuni casalinghi alla pressione bassa, o alta. Quindi, scalette a norma per armadi di cucina, con imbragatura agganciata al lampadario, che poi per attaccare l’imbragatura al lampadario devo sempre chiamare Mario per tenere franca la scaletta a norma. Che una volta fatto tutto il gioco di funi e sono su a guardare dentro, la maggiorana è finita, magari e ti viene il nervoso. Una vita sana, mangiando bene, non arrabbiarsi, respirare. Da qualche mese mi gira la testa per una, dice il doc, labirintite. Non sgobbarti a mettere le scarpe, fatti aiutare, comprati un negro che te le allaccia, dice spiritoso e intanto mi gira il soffitto e anche un po’ le balle. Devo mettermi in sicurezza, se mi gira la testa verso destra, cioè quando il resto del mondo gira a sinistra, mi bevo una birretta o due sperando che oppongano una forza uguale e contraria. Sembra la parabolica a Monza. L’alcol fa male, anche un millesimo di cucchiaio, il nostro fegato si indurisce come avere una spina di cactus nel culo. I grassi! I funghi allucinogeni! I copertoni di riserva non ci sono più, ma dove vive?, troppa gente in strada a girare il cric. La canna della pigna, dove avete il formulario della messa in sicurezza annuale da controfirmare collo spazzacamin? Eh signore, se tutti fanno così. Ci vuole un corso, disciplina! Ci vuole un corso per bagnare la vigna, e un permesso per bagnare quella degli altri, con l’attestato che ha validità a decorrere da qua a là. In vigna, implementare occhiali e stivali a norma, non intercambiabili, usa e getta negli appositi raccoglitori, che trovi alla migros per circa dieci franchi cadauno, ma solo dopo previa e apposita presentazione dell’attestato di abilitazione. Quello per i voli interspaziali non va bene, non facciamo sempre i furbi, sciori! In caso di comunicazione alle autorità competenti, inviare con l’apposito codice un discorso registrato che contenga tema sviluppo conclusione, non saranno accettate registrazioni casalinghe, ma solo elaborate dai preposti studi fonici presenti sul territorio. Ma io sto a Bedretto! Vada a Biasca dal Delmuè, abilitato alla bisogna. Il Delmuè delle cantine? Lui. Riceve il sabato. Comincio a pensare di barricarmi in cantina come faceva il Delmuè. Parto, senza fumare in stazione che sennò i treni non ci vedono bene e il sistema radar si confonde. Non stare in piedi sul treno, forte il rischio di cadute impreviste. Se è pieno, prendere quello dopo o dopo ancora. Fino a sedersi a braccia conserte. Vietato stazionare in primaclasse, c’è gente che paga e si pretende rispetto. Il rispetto è tutto! Se dai, avrai! Il Delmuè non c’è, l’é in Pontron pala cascia. Protesto. Nel caso di dubbio, mi ha spiegato l’ufficio riformazione umana URU, richiedere il formulario per ottenere il formulario speciale FS, e apposito, con pagamento cash anticipato, quanto? sui venticinque. In caso contrario, non verrà rilasciato niente e messa a registro l’inadempienza, a meno che il sistema digitale non vi abbia già inglobato e in questo caso occorre comunque rivolgersi al funzionario, preposto anche lui. Se così non fosse, la procedura verrà interrotta e dovrà ricominciare dalle scarpe senza stringhe, fornite dall’assicurazione dietro pagamento, previa visita dallo specialista cantonale. Il doc spiritoso, amò. Quello delle battute sulle scarpe. Ag la faghi più… Alt alt alt! Stare sul divano a far passare la labirintite, hanno scritto per raccomandata, è una procedura non riconosciuta, a meno di sopravvenute esigenze terze e inderogabili, che non è il suo caso. Dopo tempestiva e finale richiesta per motivi di pace interiore, inevasa, ho buttato le scarpe dalla finestra.
[…] Perché agivo così, con quella prudenza che lasciava al caso le sue mosse e mi paralizzava? Quando volevo invece vederlo… Stare con lui in qualche posto da soli. Parlarci baciarlo ascoltarlo annusarlo toccarlo, guardarlo muoversi, magari anche solo quando preparerebbe il caffè in un mattino di pioggia e lui pensa che non ci bado e così armeggia naturale, nella semplicità miracolosa delle faccende.
E invece no, lo sfuggivo con il cuore in buzza e i pensieri aggrovigliati. Non sono capace di oppormi ai giudizi di mia madre e all’indifferenza stopposa di mio padre. Divento vecchia, immobile. E gelosa, che non so cosa fa quando va in giro, anche se ne ha il diritto. Non so nemmeno se mi voglia bene, ma potrebbe di certo odiarmi. Forse sono tutte cose che mi invento e quel bacio era stato solo un fare da ciocca. Dentro una bella festa che è diventata scottante per me, mentre lui tornava a buttar giù birre con i soliti idioti.
Mi fa rabbia, lo desidero.
Eppure non ho fatto niente, non uno schiaffo, non un sorriso. Tutto giocherà contro, i compleanni, le vacanze, l’automobile. Non so neanche come vestirmi, ho paura che ormai non mi guardi più. Non mi cerca nemmeno con gli occhi, quel cercarsi di nascosto che è così bello. Gli parlo a fare? Perché mi domanda se sabato sono in giro e io rispondo non so?
Mi sento ingabbiata, morente nelle mie ritrosie, che non sono veramente mie nemmeno quelle: sono armate dai giudizi impietosi dei miei su di lui, e mai, mai, che spiegassero il perché. E allora resto lì a guardare la televisione, o il soffitto, senza capire niente. Lui di sicuro andrà ancora in giro con quelli del calcio, o chissà dove, a ridere con il Gabi, magari di me, che sono scema.
Cosa me ne faccio dell’auto nuova? Sono quella del due di picche quando la musica finisce, e nel buio della notte mi sento davvero sola e la settimana che arriva è un dovere. Afflosciato come le passeggiate in campagna nella speranza di vedere lui, che non c’è mai e forse si nascondeva apposta per non incontrarmi.
Non lo troverò il coraggio di dirgli queste cose, ho paura che fugga ancora, o che risponda che no, non gli interesso. E se lui fugge, cosa faccio io? Lo inseguirò con l’audacia che non ho, o resto a casa a mangiare i tortellini la domenica con la stessa voglia dell’inghiottire segatura? Mi detesto. […]
Bisogna crescere, non star lì a fare i pici con la scusa che uno è fatto così e ciola, cambiare, facile a dirsi per te che al massimo ti domandi se ci va l’aromat. Ci vogliono momenti di confessione pubblica, ecché, fare ammenda, incassare gli eraora e i bravo, che fanno imbufalire come i staicalmo faniente quando hai sbagliato a porta vuota. Magari uno cresce be’ anche, anche se sul momento non se ne accorge e tutto ha in mente meno che starecalmo. E faniente una sega, faniente.
Nel percorso di crescita del Genetelli, il momento più impegnativo è stato quando ha visto, alto come il Piz da Crèe, il suo fallimento. Allora, autofiction! Il Genetelli non aveva una squadra, sempre fuori età, piccolo generalmente. Triplare triplare triplare. Ma ala Lisc’chi, pantano bonificato, o in Pasquei, la piazza, quella con ostacoli durissimi come le panchine ad altezza stinco o la fontana che ingombra, come Schwarzenbeck con gli olandesi. Avversari più infidi del Meme o del Clod, ultime scelte del pari e dispari, o del Leti che scalcia da dietro. Un’idea è stata allora il passaggio, da attaccante a tutta piazza, a portiere. Sempre senza squadra e a dodici anni è un fardello grande come una pioda. Ok, portiere senza squadra, ma tenersi pronti. Allenamento in Busciarini, il Giani a tirare con i piedi, non troppo buoni, e con le mani, e il Genetelli tra due sassi e i guanti da giardino del Pa’. A balzare spettacolare anche quando non serve. Che portiere! ha detto il Giani il settimo giorno di sedute al crepuscolo. Al crepuscolo perché prima c’è la scuola. E la scuola ha il torneo. Il torneo dei paesi consortili. Almeno quello. Bisogna crescere, abbandonare il certo per il dubbio. Poi, ah, trasformare il dubbio in convinzione: basta con i gol da fare, è il tempo dei gol da evitare. Come per tutta l’esistenza, che il Genetelli in quei giorni immagina che possa spingersi fino ai vent’anni e a Anfield a prendere il posto di Clemence, dopo aver scalzato Rossini dall’ACeBe. La prima partita del torneo la salta per punizione da parte del Pa’, groppo irrisolto e più volte svelato in scritti meno onesti di questo. Ma la seconda è il debutto: portiere. Vincono quindici a zero, segnano tutti, anche il Meme che la sola porta che riconosce è quella di casa. Al Genetelli non arriva neanche un tiro, tanto che nel finale è andato avanti, sempre coi guanti del Pa’, ha dribblato tutti i poveretti e poi ha calciato a lato della porta vuota. Staicalmo faniente. Segnata sul taccuino del cervello quella data di merda lì, eccoli i fallimenti che ti fanno rialzare. Il Genetelli è tornato ai dribbling, diffidando delle porte, fino a circa sessantadue anni. Senza passare da Anfield, ma con la sensazione di essere cresciuto a dispetto delle opinioni. E l’aromat ci va.