Tre settimane. Così, dalla cura abitudinaria del giardino e dalla lettura distratta
delle notizie, si passava alla morfina, se la voleva. Non la voleva e non la prese, male non ne aveva, se non quel fastidio sotto il mento. La ghiandola, o che cazzo fosse, gli si gonfiava di giorno, ma al mattino era sparita, o nascosta. Però el dotor era stato chiaro: ti restano tre settimane, non vale neanche la pena curare, troppo pericoloso, troppo vicino ai nervi facciali. Troppo inutile. C’era solo da aspettare la morte, e la cosa lo incuriosiva come se a cinquantasei anni ci fosse finalmente ancora qualcosa da scoprire. Abbandonò il lavoro, non aveva più senso, se mai lo avesse avuto. Si rese conto che da anni attendeva la pensione, quando in attesa c’era altro, invece.
La donna della sua vita lo avrebbe accompagnato fino alla fine, una consolazione. Scelse le canzoni per la funzione al crematorio, poi si diede alla rinata voglia di vivere. Curiosa la cosa. Prima s’abbandonava al mondo che aveva catalogato come incomprensibile nella sua banalità; ora gli pareva brillante nella sua dolce futilità. Abbracciava e baciava i figli, che non aveva ancora informato per chissà quale istinto di protezione, e che da parte loro si ritraevano disorientati da tanto slancio. Si ridiede alle bevute come da giovane, e come da giovane passò in rassegna tutti i culi delle donne in transito. Spese un centone con una grassona, un sogno riposto chissà dove e rispolverato in zona Cesarini senza un minimo di colpa. Da buon uomo, lo disse alla donna della sua vita, che la prese un po’ così, come un vezzo da moribondo.
L’ultima settimana, senza nessun dolore fisico o morale, scrisse e stracciò foglietti di memorie. La ghiandola era sparita, forse per beffarlo. Poi passò il termine e come una donna incinta non ci badò, preferendo abbuffarsi di costine e fumando come un turco. Pensò anche a un bel volo dalla diga, per provare l’ebbrezza, ma fu dissuaso dalla donna della sua vita, per non sporcare.
Passato un mese dalla sua ipotetica morte e già in sovrappeso, tornò dal dotor. Meravigliato, il luminare rifece alcuni esami dopo avergli detto che comunque lo trovava mica male e che era ammirato dal suo stoicismo.
In uno splendido mattino di sole agostano, squillò il telefono di casa. Ci siamo, disse alla donna della sua vita. El dotor gli disse di passare, che gli esami avevano risposto. Per strada pensò che in quelle poche ore avrebbe potuto uccidere qualcuno della sua lista nera, ma lasciò perdere.
La cosa è strana, disse el dotor, dilungandosi poi in dissertazioni confuse.
Uscì in strada con la sensazione che fosse meglio prima. A casa, la donna della sua vita era a letto col vicino, ma lui non se la prese. Fece la valigia senza piegare abiti e partì. Oggi vive da qualche parte in Sudamerica e dicono che sia felice con una mulatta grassa.
gene
Postilla
Chissà come moriva la gente prima dell’invenzione di tante malattie.
Stanisław Jerzy Lec

ci avevano provato per lunghi mesi a difendere il rifugio dalla cupidigia di chi la voleva strappare per i suoi scopi, ma dal sindaco fino all’ultimo dei consiglieri comunali non arrivò più nessun sostegno. Perfino la stampa locale, che si era sempre occupata di gatti smarriti, di interviste sul pranzo di Natale o delle assemblee della parrocchia, puntò il dito su Alamo, il nome che i ragazzi avevano dato alla baracca. In quel posto, mangiavano, bevevano, ridevano, parlavano, leggevano, si davano alla pigrizia e formavano una coscienza oppositrice per cambiare il mondo.
Facciamo due conti. Morti, tradimenti, bugie, colpe, vendette, dolori inferti e subiti, abbandoni, dimenticanze, oblii, perdite, sconfitte, inganni, ipocrisie, malanimi, malinconie, tristezze, miserie, debolezze, omicidi, stupri, violenze multiple e protratte, malattie, e avanti per ore. Perderemmo tonnellate, se l’anima pesasse, e li perderemmo ancora prima di crepare. E se li perdessimo invece e davvero solo al momento di crepare, faremmo un buco fino in Nuova Zelanda. Calcolando ancora, siamo in tanti ad essere passati su questa terra e poi morti, e molti di noi sono qua adesso e altri ne arriveranno, quindi il pianeta dovrebbe essere sparito da millenni, a furia di essere crivellato dai pesi dell’anima. E invece no, siamo qua a far finta che la nostra essenza valga solo 21 grammi, come nel film e nei blog. Cazzate. Il fatto è che l’anima ce la siamo inventata noi per pararci il culo di fronte allo sterminio millenario di tutti gli altri esseri viventi, una superstizione tramandata di sacerdote in sacerdote, di padre in figlio e di amante in amato. Ma non esiste, l’anima. Ammesso che nell’istante in cui si passerebbe dalla vita alla morte perdessimo davvero 21 grammi, ebbene, sarebbe solo aria, l’ultima che soffiamo fuori dal nostro corpo avvelenato e sommamente ingannato. Altro che anima. Non ci credete? Guardatevi attorno, avessimo un’anima non vedremmo tutto questo immondezzaio, non ci sarebbero uomini che sopraffanno tutto e tutti, non ci sarebbero guerre e ingiustizie, stomaci avvizziti o enfi, gabbie o fosse comuni. E ci sono invece morti, tradimenti, bugie, colpe, vendette, eccetera. Tonnellate peserebbe, l’anima bella e santa, che passiamo la vita a tentare di salvarla, ma che non esiste, e per fortuna, almeno non ci sono alibi. Prendessimo atto di questo, saremmo davvero più leggeri.
corrispondenza, firmata dal tagliatore di teste. Un lavoro come tanti, in ufficio con la cravatta, solo che a svanire era il suo di lavoro e se la prese maluccio. Salì in soffitta, tolse dall’armadio la Mauser che il padre aveva tenuto via come ricordo dell’esercito e scese in strada piuttosto calmo. Si fece una decina di isolati a piedi, ciondolando pistola in mano, senza fare caso al fuggi fuggi della gente, tra cui molti incravattati come lui. Che però, la cravatta se l’era tolta e si era calato un sombrero di paglia con la scritta Birra Bellinzona stampata sulla fascetta di carta. Teneva un sigaro spento tra i denti, ai piedi scarponi delle truppe del genio induriti come sassi.
legno. Mi ha caricato la cadola sulle spalle e sul momento le ginocchia non parevano reggere il carico, e invece sì. Mi sono voltato quando ero già su di un bel po’, dove i larici sono pochi. La mamma sulla panca era un puntino appena più minuscolo del papà in piedi. Non ho potuto più guardarli. Un po’ dopo ho sentito due spari e anche se sono piccolo ho capito. Meglio andare, devo farcela anche se sono solo, come ha detto papà.
furono rinvenute quarantacinque schede valide ancora intatte nelle loro buste. Vennero conteggiate in fretta a furia e l’autorità annunciò che queste schede non avevano modificato gli esiti della consultazione, tranne per il trascurabile fatto che il sindaco di quindicina non era più lo stesso, ma il rivale.